Gentile Giorgia, lo confesso: sono stato io. Mi sono inventato un suo tweet in cui diceva parole di buonsenso su democrazia e Resistenza, e ho voluto provare l’effetto che faceva. Ne ha prodotti un paio, di effetti. Abbastanza dirompenti. Numeri, importanti, a parte.
Una parte ha colto la bufala, scrivendo che ci aveva sperato ma che, naturalmente, Lei non scriverebbe mai parole così pacificanti e unitarie. Una parte, invece, ci ha sperato così tanto che le ha fatto i complimenti. Ha finalmente riconosciuto un’avversaria, non una nemica. Che avrà idee anche opposte ma gioca nello stesso campo. Nessuno, questo però è il dato più importante, l’ha insultata. Nessuno o quasi le ha dato della fascista, o altre contumelie che peraltro buona parte del suo elettorato vede come complimenti. Tutti avrebbero preferito che quel tweet non fosse un “fake”. Lei mi obietterà, in parte a ragione, che i mei follower stanno da un’altra parte della politica. Vero, ma non dovrebbero stare da un’altra parte della Storia.
Perché, veda, Giorgia, il tweet che le ho fatto scrivere a sua insaputa stava da una parte sola: il Paese che ci ha dato i natali, ché quando nasci in un posto dovresti esserne cittadino, no? Mi scusi, polemicuccia inutile, sono il solito sinistrato. Fermiamoci però per un attimo a pensare cosa sarebbe successo se quel tweet fosse stato vero. Lei è un po’ nelle condizioni di Trump ai bei tempi, che diceva di sé stesso: “Potrei uscire in strada e sparare a un tizio, mi adorerebbero lo stesso”. Dunque sono pressoché certo che non ne avrebbe tratto nocumento alcuno. In fondo che c’è scritto? Patria, Italia, Liberazione. Al massimo avrebbe perso il consenso dei quattro gatti neri che ancora vagheggiano le cose buone fatte dal cosiddetto Duce il quale, a mia memoria, è il tizio più anti-italiano di sempre: fece crepare mezzo milione di connazionali.
I suoi però l’avrebbero seguita. Forse si sarebbero pure liberati volentieri dell’ambiguità di fondo per la quale le zecche rosse (o, meglio, la gente che in un modo o nell’altro il fascismo l’ha subito) non vi riconoscono. Vi emarginano, benché siate e di gran lunga la terza forza politica del Paese. E lei avrebbe potuto avanzare verso la leadership liberandosi di quel peso che, ne sono certo, agita anche Lei.
Lei che era al fianco di Gianfranco Fini alla svolta di Fiuggi. Lei aveva sui temi civili opinioni molto meno (movimento) social di ora. Lei che possedeva, e forse ha ancora, le carte in regola per diventare leader di una parte del Paese senza disconoscere l’altra con una gragnuola di livore che non le appartiene culturalmente.
Perché a forza di dividere, a forza di scegliere i like scritti col fegato, a forza di pensare che le macerie della convivenza civile possano essere rimosse in modo salvifico quando si comanderà, Lei si troverebbe a guidare un Paese diviso di italiani contro altri italiani. Proprio come, da quel 25 aprile, non è mai più accaduto.
Per questo, Meloni, la prego di trovare le parole. Di sfruttare quella speranza nata da una bugia, la mia, che – ad esempio – non ha funzionato quando l’ho attribuita, sempre con un tweet farlocco, anche a Matteo Salvini.
Lì non se l’è bevuta proprio nessuno. Si vede che persino i “miei” preferiscono sperare in Lei.
Faccia qualcosa, allora. Ci sono ancora alcune ore. Scriva non una cosa di sinistra, non una cosa di civiltà, ma almeno una cosa da cui si evinca che si vince e si perde dalla parte giusta o sbagliata, per carità. Ma che chi muore per la democrazia, contro la dittatura, contro il vassallaggio a un tizio che gasò sei milioni di persone, è qualcosa che va celebrato.
Credo proprio che ci guadagneremmo tutti noi.
E per noi, stia tranquilla, intendo proprio noi italiani.
(Nota a margine: ecco, questo no)