Una cosa impopolare sull’attacco di De Magistris a Saviano

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Roberto Saviano dice spesso che il suo principale torto è di essere ancora vivo.

Ha ragione.

Se la sentenza a suo carico fosse già stata eseguita, quantomeno non assisteremmo al dividersi scurrile che anima in queste ore il campo del cosiddetto fronte anticamorra, col sindaco di Napoli che, per difendere il proprio operato da un’intervista critica dell’autore di Gomorra, ha sfoderato un attacco personale che manco De Luca ai bei tempi.

De Magistris ha ovviamente ogni diritto di criticare Saviano, di smontarne – se riesce – il giudizio sulla  “sua” città. Di contrastarlo politicamente. Non può (non dovrebbe) farlo con le solite due frasette orecchiate malamente da Sciascia, che potremmo ridurre a una immagine: parla lui, che con la camorra si è arricchito e adesso conciona da un attico di New York.

Se mi è consentito, vorrei porre all’ex pm un paio di obiezioni:

  • Personalmente, trovo più comodo uno scranno a palazzo San Giacomo che vivere da latitante dopo aver scritto la verità sul Sistema. Per primo.
  • Non si vede perché, durante la latitanza, Saviano dovrebbe vivere a pane e acqua. È un giornalista, uno scrittore. Mica San Francesco. A meno che non voglia decidere De Magistris dove il suo odierno avversario deve nascondersi. Pyongyang? Beirut? La Fossa delle Marianne?

Non vedo, inoltre, perché Saviano non dovrebbe guadagnare dal suo lavoro. A parte che la blindatura lo costringe a non poter lavorare sul campo, limitandone di fatto i margini narrativi. Ma cosa c’è di male se incassa fior di royalties sui libri che, incidentalmente, ne hanno stuprato l’esistenza?

Chiedo a De Magistris: è meglio guadagnare con la camorra o l’anticamorra?

Saviano ha ragione: paga l’essere ancora vivo. L’essere diventato un santino suo malgrado.

Con le sue contraddizioni. I suoi libri più o meno riusciti. I suoi articoli più o meno azzeccati. Le sue opinioni più o meno condivisibili. Le sue interviste opinabili, per criticare le quali, però, non si dovrebbe usare un linguaggio, un tono, argomentazioni, che normalmente denotano una cattiva coscienza.

Il fatto che De Magistris non ce l’abbia, quella cattiva coscienza. Che sia una persona onesta. Che possieda una cultura superiore all’italiano medio abituato a costruire piedistalli che poi istoria di paduli disegnati con lo spray, che, in definitiva, la sua reazione sia molto probabilmente una bizza da primadonna incapace di tollerare qualcuno più “eroe” di lui, che gioca a chi ce l’ha più lungo, il curriculum, è parecchio triste.

E, se possibile, aggrava la gravità delle sue parole.

Farebbe bene – credo – a scusarsi.