Scissione e liberazione: perché il Pd e Italia Viva dovrebbero separarsi per davvero

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Tra Renzi e Zingaretti | Il Foglio

(ANSA – KODAK THEATRE) Zingaretti e Renzi quando vinsero l’Oscar per il miglior sorriso fasullo

Me lo chiedeva l’altro giorno Michele Serra in radio e non ho saputo dargli una risposta: ma perché nel Pd c’è una corrente renziana? In effetti: avendo Renzi un partito, come mai ci sono persone a lui afferibili in un altro? Michele, che ne sa molto più di me, ha escluso ciò che a me parrebbe ovvio: per condizionare due forze politiche in un colpo solo, uno delle quali da fuori, quindi con un maggiore peso contrattuale, in attesa di rientrare nel principale con la fanfara. Almeno nei desiderata.

Però, se la cosa sembra curiosa lui, figurarsi a un cacadubbi come il sottoscritto.

Causa recenti evenienze personali, che ho riassunto qui, voglio però evitare qualunque critica anche solo apparentemente distruttiva, anche perché mi pare che sia il Pd, sia Italia Viva, stiano perseguendo l’implosione con una pervicacia che non abbisogna di appoggi esterni. Dunque mi sforzerò di essere propositivo e di pronunciare una parola che nel campo della cosiddetta Sinistra, ove la si consideri tale anche in questa evenienza, ha spesso risuonato con esiti nefasti: scissione.

Perorandola.

Spiego: esiste nel Pd, se ho ben inteso, una cosa che si chiama “Base riformista”. Che non è di base, dacché non risulta sia minimamente popolare tra gli elettori. E non è riformista, ma sostanzialmente turbo-liberista e perfettamente aderente al progetto di Sinistra del Centrodestra che Italia Viva ha da tempo messo in atto. Base riformista è la responsabile principe di quello che potremmo definire l’incommensurabile puttanaio attuale. E questo al netto dei giudizi sulla vicenda di Nicola ZIngaretti, per la segreteria del quale, come credo chiunque, nutro la stessa passione che per un Bologna-Fanfulla 0-0 dell’84.

Il risultato è un partito oltre la crisi di nervi, in cui si gioca con le poltrone, anche accusando altre di puntare alle poltrone che si occupano al momento, e un altro partito che nei sondaggi viaggia costantemente alle temperature di Novosibirsk in dicembre.

La domanda di bassa politologia è appunto questa: davvero il Pd perderebbe qualche voto se quelli di base riformista se ne andassero? E, di contro, Italia Viva guadagnerebbe o no da una momentanea iniezione di deputati e da qualche uomo in più che magari sollevi sul cosiddetto territorio, battendo le fabbriche un ufficio del proprietario via l’altro, qualche consenso in più?

La dico ancora meglio: perché lasciare alla Lega la cosiddetta classe produttiva del Paese? Italia Viva non è concorrenziale con nessun partito di sinistra della galassia. Ma tra i due Mattei, ci sono sicuramente fior di imprenditori che sceglierebbero Renzi. Di più: magari lo farebbero pure votare. Togliendo consenso non già a quei pericolosi comunisti del Pd, ma proprio a Salvini.

Dunque, se ne gioverebbero tutti: il Pd potrebbe leccarsi le ferite, magari aprendo ‘sto cazzo di discussione programmatica davvero a chiunque, rifondarsi, fare un congresso allargato domani perché altrimenti non arriva vivo alle elezioni, e Italia Viva rischierebbe addirittura di non essere azzerata alle prossime elezioni politiche. Che, siccome si faranno con una legge comunque di deriva proporzionale, spingerebbero inevitabilmente alla scelta tra un asse Cinque Stelle Dedibbizzato, il Pd, la cosiddetta sinistra radicale (che non è radicale e forse per quello raccoglie poco) e il gruppo vacanze Visegrad.

A quel punto Renzi potrebbe decidere il miglior offerente, fingersi paciere, lucrare quel ruolo centrale che tanto ama, e quantomeno sostituire Di Maio agli Esteri. O passare definitivamente al lato oscuro della forza, come vorrebbero alcuni suoi consiliori economici che infatti flirtano pubblicamente tra Borghi e Bagnai.

Tra l’altro, dato il congelamento imposto dall’agenda Draghi, il Governo non ne risentirebbe punto.

Morale: Renzi vuole ancora scalare il Pd, ma non lo vogliono né il suo elettorato, né quello del Pd. Potrebbe più facilmente scalare Forza Italia, o la base leghista, invece di camminare a fianco di Salvini. A meno che non sia proprio quello il progetto in atto, e che il prossimo #staisereno non sia per l’ennesimo tizio che si sta fidando di lui.

Intanto, ecco, se state insieme ci sarà un perché. Ma è dentro di voi. Ed è sbagliato.

Una cosa lunga e noiosa su cosa mi piacerebbe fosse la Sinistra in questo curioso Paese

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Il Pd sbanda pure all'opposizione, Zingaretti e Renzi pari sono | L'HuffPost

Renzi ha ragione.

La “cabina di regia” contiana è l’idea di chi ha della democrazia un concetto turistico (cit.) ed è abituato a leadership cooptate. Culturalmente, viene dal partito di cui il Presidente del Consiglio è espressione. Lì, al netto del rivendicato egualitarismo, esiste una cerchia di prescelti che, combinata coi “tecnici” di area, ossia quelli che normalmente hanno superato almeno l’esame all’istituto alberghiero, sorvola ed esautora la fanbase – nel nostro caso, il Parlamento – poiché la riconosce inadeguata, incompetente.

Se Berlusconi portava in politica un’idea aziendalista, verticistica, dunque totalmente isolata dai meccanismi democratici (in azienda decide uno, e uno soltanto), quella dei casaleggesi è più vicina al socialismo reale. La dittatura del popolo. Una democrazia diretta in cui un satrapo, solo, cala le decisioni. Una fattoria degli animali. Anzi, più letteralmente, una factory.

Naturalmente Conte non ha ambizioni dittatoriali. Si è trovato a gestire questo considerevole troiaio (come credo dicesse Churchill) e fa quel che può e sa. Cioè poco. Uno che ha Casalino come spin doctor è conscio, nel profondo, di poggiarsi su fondamenta di argilla. La torsione autoritaria non è tale principalmente perché non alberga nelle intenzioni di chi dovrebbe operarla. Ma è del tutto evidente che un commissariamento del Governo sarebbe pericoloso.

Perché?

Perché viene dopo lo svuotamento di legittimità del Parlamento. Operato da chi, negli anni, ha governato con le regole del maggioritario estremo senza mai (mai) averne la legittimazione popolare. So bene che siamo una Repubblica Parlamentare. E che quindi il mantra grillino del “non eletto da nessuno” è vuota propaganda. Resta che, da Monti in poi, da quando cioè una situazione straordinaria portò al commissariamento di Lega, Forza Italia e Alleanza Nazionale, da quando cioè Giorgio Napolitano regalò a Berlusconi il tempo di rialzarsi e a Grillo quello di organizzarsi, il migliaio tra deputati e senatori è definitivamente diventato un timbrificio gestito da nominati.

Ma se questo è accaduto si deve principalmente alla responsabilità degli esecutivi successivi. Dei governi che hanno stravolto la dialettica parlamentare a colpi di Fiducie. Di chi ha blindato il palazzo dopo averne espettorato gli anticorpi del dialogo. Di chi ha consolidato una prassi per cui l’Aula è sostanzialmente una passerella per i collegamenti tv del question time.

Conte 1, cioè. Ossia Salvini e Di Maio. E Matteo Renzi.

Che l’ex Presidente del Consiglio sia diventato, oggi, alfiere del parlamentarismo, risulta anacronistico come un Briatore che inviti a versare l’Irpef. Ma questo è normale. Renzi ha molti pregi “politici”, quasi quanti i suoi sponsor pesanti, nascosti dall’enorme ego in cui risiede. La spregiudicatezza è certamente il principale. Gli manca una strategia, come hanno dimostrato i rovesci ripetuti degli ultimi anni. Ma è maestro di tattica. Per riacquisire centralità sarebbe capace di dire o fare cose di Sinistra. Anzi: l’ha già fatto. In passato.

Meno scontato è che il Pd ne sia ritornato completamente succube. Che lo usi come testa di ponte per manovre anche legittime che però, una volta di più, rimuovono un dato non trascurabile: il consenso. Il quale pare sia necessario per raggiungere un obiettivo che le forze progressiste non conseguono dai tempi di Romano Prodi: vincere le elezioni.

In questa traversata nel deserto che la Sinistra riformista compie con un agio imprevisto (governa) manca totalmente la percezione dello scoramento attivo che pervade il proprio popolo residuo. Le uniche tornate elettorali vincenti del recente passato derivano dalla paura di finire nelle mani di una qualche scappata di casa telecomandata da Salvini. Ma sono stati sempre e comunque voti difensivi.

Vederli agire, ora, con logiche da Prima Repubblica, leggerne le convulsioni alla ricerca del riequilibrio, del rimpasto, del predellino da cui disarcionare compagni di strada certamente modestissimi, vederli perseguire logiche che neanche Forlani ai bei tempi, e tutto mentre il loro popolo si rintana ogni giorno di più, risulta oggettivamente frustrante. E irrispettoso del loro capitale umano. Sul quale potrebbero investire, proprio come le aziende che, in tempi di crisi causa Covid, mettono sul piatto le risorse residue per rilanciarsi. O almeno dovrebbero farlo.

Il Partito Democratico, invece che baloccarsi con questioni di leadership, dovrebbe sfruttare i due anni che mancano al voto – Francia o Spagna, una maggioranza si troverà – per lavorare sulla propria identità. Dovrebbe prendere dal machiavellismo renziano il solo dato che gli manca: stare al Governo agendo come se ci fossero altri, quasi manifestando il disprezzo per la sbobba che si è costretti a ingoiare, e puntare (al contempo) a blindare la propria identità. Partendo dal dato che c’è uno zero di differenza. Cioè che la macchina del consenso vivaista, vincente ed efficace in ambiti apparentemente opposti come i social e gli uffici che contano (quelli degli Ad, o le redazioni dei giornali) ha il 2 per cento dei consensi reali. Zingaretti, che ci creda o no, il 20. È quello, il predelino, cristallizzato, su cui innestare quattro idee di buon senso, anche apparentemente impopolari, che trasformino gli elettori asintomatici in veicolo di contagio.

Prima però vanno ascoltati. Cercati, e poi ascoltati. Coinvolti in uno stato generale permanente, scovati nelle loro comode case, strappati alle loro librerie ben fornite. Rigenerati.

Anche se l’alternativa c’è: cedere alla scalata ostile di Italia Viva, stringersi alla coorte di un centro reazionario che inglobi anche i “responsabili” di Forza Italia, gettare benzina sull’inevitabile incendio populista che scaturirà, in assenza di un colpo d’ala, dalle urne, e condannare un italiano su cinque a perdere definitivamente rappresentanza.

Dall’opposizione. E senza aver mai governato per davvero.

Fate il vostro gioco. Ma presto.