Uno bravo. Tanto.

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Scrivere del Bologna sul giornale della città non era e non è una cosa facile. Devi mantenere equilibrio, senza rinunciare a dire la tua. Devi essere tecnico, senza cadere nella spocchia. Devi essere originale, ma farti comprendere. Indossi un bel vestito, ma deve sempre cadere giusto. Stefano Biondi era tutto questo. E da quando aveva smesso di occuparsene, del Bologna, gli amici del Carlino mi perdonino, quelle pagine erano molto più vuote. Perché poi, certo, negli anni è cambiato tutto. Il “pezzo” si è perso in mille rivoli, la carta è divenuta, inevitabilmente, specie quando parli di pallone, un ibrido più vicino alla rete che alle reti. Però, quelle reti,  Stefano le aveva raccontate per anni senza mai ricalcare un articolo, senza mai cadere nella maniera, senza mai smettere di rispettare quello che con ogni evidenza considerava un privilegio: seguire quella squadra, per quel giornale. Essere tramite. Mettere la propria firma esattamente al centro tra la curiosità del lettore e il fatto o la voce. L’elogio, o la critica. La passione.

Quando qualcuno se ne va, si tende a imbellettarne il carattere. Con Stefano Biondi non è possibile: non serve. Nessun collega al mondo potrà raccontare di aver subito un torto da lui. Anzi: immagino che ognuno possa pescare dalla tasca dei ricordi un atto di generosità, di levità. Negli anni giovani, quando ero costretto ad abbinare la ricerca delle notizie a quella della calligrafia, fui spesso beneficiato dall’umanità di Stefano. Da sociopatico quale ero e sono, con importanti eccezioni per i singoli, mi risultava quasi impossibile vellicare le fonti, inseguire tizio o caio per ricavarne un titolo. Vivevo cioè anni luce lontano da ciò che un giornalista dovrebbe sempre mantenere come stella polare: la notizia. Ecco, Stefano spesso mi beneficiava. Lo chiamavo, gli chiedevo uno spunto, un nome di mercato, qualcosa che non mi facesse tornare a mani vuote dai capi. E lui lo lasciava cadere. In cambio, fingevo di consegnargli qualche congettura. Mi ascoltava divertito. Poi andava a scrivere. Altro. Bene.

Di quello scambio tra impari (l’Unità era un peschereccio rattoppato, a confronto col Carlino) era garante un altro amico che è ancora tra noi ma a modo suo: Walter Guagneli. Un altro maestro, di quelli veri. Un altro che sapeva vivere la malattia del cronista con competenza, con consapevolezza, con fantasia.

A proposito di fantasia: gli anni mi hanno spesso portato in giro per l’Italia a spostare pennarelli e post-it dietro le telecamere. Ma da quando il web ha accorciato le distanze, non c’era mattina in cui non attendessi l’intervento telefonico di Stefano su un’emittente locale bolognese. Ovunque fossi. A condurre il programma, un giornalista molto più giovane ma, fortunatamente per lui, vecchio stampo: ironia, consapevolezza che sempre di pallone parliamo, ma anche del fatto che per chi ascolta si tratta di un tema vitale e definitivo: il Bologna Fc 1909, i colori più belli del mondo.

Stefano e il suo anfitrione chiacchieravano di tutto e di niente, di rare vittorie e molti rovesci, senza ripetersi mai. Perché, che lo vogliamo o no, l’amore è sempre uguale ma esistono infiniti modi di raccontarlo. Stefano Biondi quei modi li conosceva tutti, e sapeva farli vibrare. Di verità. Un po’ come la sua metà, Sabrina, che da sempre vale palcoscenici nazionali, ma poi si siede accanto a Pepè Anaclerio, su ÈTv, e capisci che non starebbe bene in nessun altrove. Perché sa e vuole raccontare, declinare, reinventare, la stessa storia che Stefano ha raccontato, declinato, reinventato.

Lo ringrazio, e lo saluto. Da cronista ragazzino, che Stefano accolse con un sorriso aperto e sincero. E da tifoso adulto, cui ha dispensato lampi e buonsenso, alleviando da par suo decenni infiniti inclini alle zero soddisfazioni. Con Gianfranco Civolani ci abbandonò il Bologna dello scudetto. Celebrammo la sua nostalgia e quella di quel mondo tonante. Con Stefano se ne va un giornalismo della ripartenza, capace di scovare intelligenza, ironia, direi “bolognesità” anche nelle altrimenti deprimenti trasferte di Serie C.

Era bravissimo. Buono. Onesto.

Rendiamogli l’omaggio che merita.

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