La sindrome del tortellino

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Beppe Maniglia deve pagare o no l’occupazione del suolo pubblico? E quella delle mie orecchie? E del mio apparato riproduttivo?

Ieri in città si discuteva di questo, come in una plastica descrizione del paesone insonnolito in cui viviamo, quello che si fa costruire Fico dai privati ma manco riesce a fare la voce appena men che flebile con un tizio che scoppia boule dell’acqua calda e contenuto degli slip altrui.

Un filo meno quotata, nel chiacchiericcio da Bar Otello ormai orfano persino del Bar, e di Otello, la vicenda del bike sharing, delle bici condivise da affittare a stanziali e turisti. Quelle che il Comune ha rinunciato a proporre perché un solo esemplare, evidentemente in oro massiccio tempestato di lapislazzuli, costava – parola dell’assessore Colombo – 2000 euro l’anno.

Appena il tempo di dirmi che no, dai, non è possibile, ci sarà una ragione se le bici del sindaco sono così controproducenti, che siamo in Italia e mica a Londra, Parigi, in una qualunque città europea, e dunque, Bot, mica puoi metterti sempre a sputar sentenze senza rilevare il male di vivere e di amministrare di Merola e dei suoi… che le mie dita sono corse a Google. Google notizie, per la precisione.

Ho scritto: bike sharing.

Nelle prime quattro pagine (4) ho scoperto che a Roma stanno ampliando il servizio, anche se qualche bici se la fregano. Che Milano ha appena introdotto 20 nuove stazioni e punta ai 50.000 abbonati entro l’Expo e che sta introducendo bici a pedalata assistita. Che a Busto Arsizio (!) funziona tutto benone e le due ruote, dice il sindaco, costano 550 euro l’anno. Che a Genova furoreggiano. Beh, certo, l’efficiente nord… A marzo partono a Cagliari, le bici del Comune. A Teramo hanno appena esordito e vanno che è un piacere. Ci sono a Presicce, provincia di Lecce. Le hanno a San Marco in Lamis, nel Gargano. A Palermo hanno appena potenziato la flotta…

A Bologna no. Può darsi sia un impeto di autocoscienza, la decenza di non costringere i noleggiatori a pedalare su quella parodia mai presidiata, mal segnalata, spesso dimenticata che è la celeberrima rete di piste ciclabili. Probabilmente non si vuole essere corresponsabili della roulette russa che coglie chi tenta di fare lo slalom tra le pensiline del Civis (il Civis!) in via Irnerio.

O più probabilmente è quella drammatica carenza di prospettiva che uccide chi governa questa città. Fatevi prestare almeno le slide da Renzi, mo’ che siete tutti con lui.

Non ne so nulla, per carità. Non invidio Colombo, immagino che prima di sventolare bandiera bianca abbia alzato il telefono per chiedere a Enel o a qualcun altro di imbastirgli una rete di bici a pedalata assistita ma poi quelli, cattivi, gli abbiano preferito San Marco in Lamis.

Però non mi stupirei se manco ci avessero provato. Perché questa vicenda delle bici di tutti, oltre a rappresentare un autogol comunicativo e strategico segnato da centrocampo in rovesciata, di tacco, sembra un plastico di Vespa della nostra “sindrome del tortellino”. La condanna a guardarci l’ombelico, rassegnati, che ottunde anche le menti migliori, e le migliori idee.

Il restauro dei portici, ad esempio.

Tempo fa, mentre cercavo una bici da affittare, dunque avevo tempo, pensavo tra me e me che sarebbe stata una bella idea affidare il recupero del nostro biglietto da visita al crowdfunding. Poi l’ha fatto, il Comune. Neanche il tempo di esultare (tra l’altro il mio vicino non mi sentiva, perché ero in piazza Maggiore e Beppe Maniglia ci sovrastava a tutto volume) che ho scoperto obiettivo e donatori: il portico di San Luca, i bolognesi

Ecco: tu hai i portici più belli del mondo, non riesci a preservarli, ma il signore benedetto delle idee ti illumina e ti consiglia di coinvolgere un aiuto esterno. Giustamente, una tantum, cerchi un patto sociale con la città. Bravo. Però ci provi nel momento di massima sfiducia nelle istituzioni, e raccogli gli spicci necessari a tinteggiare cinque arcate. Adoperi cioè un metodo nuovo (il crowdfunding) per una questua vecchia: ogni arco ha già il nome di un benefattore, s’è sempre fatto così.

Proviamo ora a uscire dalla sindrome del tortellino. Traduciamo in inglese qual c***o di sito che serve per la raccolta, abbiniamolo a una strategia di comunicazione decente, vendiamo il restauro della più bella città medievale del pianeta (tutta, anche quella laica) al resto del mondo. Mandiamo una e-mail a John Grisham, chiediamogli se fa da testimonial. Dice di no? Paghiamo un ragazzino smanettone che piazzi la colletta in testa ai motori di ricerca. Giriamo un video virale. Cerchiamo donatori negli Usa, in Giappone, nei Paesi arabi, nel Nord Europa. Proponiamo a chi versa una cifra la possibilità di venire a vedere quale meraviglia ha riportato all’antico splendore, facciamolo a prezzo scontato. Creiamo un circolo virtuoso di turismo e responsabilità. Mettiamo Bologna al centro del Mondo e non di fianco al sidecar di Beppe Maniglia.

Possibile che esca qualcosa di più dei 141.000 euro,  e di 181 sostenitori.

E, chissà, magari pure qualche bici.

Uscito sul Corriere di Bologna

Dieci cose che abbiamo imparato da Freak Antoni

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Come scriveva ieri il mio amico Paolo Soglia, ero un pubblico di merda. Amavo Freak e gli Skiantos sgangheratamente. Avevo i suoi libri. Lo seguivo dacché s’era spretato e riaccasato con Alessandra Mostacci. Però non voglio parlare di me, come si fa quasi in tutti i ricordi post mortem. Voglio parlare di lui, maestro incidentale, e delle cose che ci ha insegnato. Una decina all’incirca.

10) Che questa città può essere capitale. Può essere sangue che pulsa e si rincorre nelle vene, e se non è solo sangue in fondo poco importa. Eravamo l’avanguardia. Eravamo il demenziale. Eravamo il punk. Eravamo lui e gli Skiantos.

9) Che Bologna ha un’altra stella da mettere in via Orefici (a proposito: e Dino Sarti?). Ma non basterà. A Seattle c’è un bellissimo museo quasi no global sul rock, sul grunge, sui Nirvana. Noi dovremmo aprire, qui e ora, quello del ’77. Lo sporco, geniale, violento ’77: da Pazienza a Lorusso, passando per Freak. Che ne riderebbe, a vedersi sotto teca.

8) Che a suonare, e cantare, s’impara. Ma non serve. Gli ultimi Skiantos (grazie anche a quel grande chitarrista che è diventato Fabio Testoni-Dandy Bestia) erano signori musicisti, grandi esecutori. Ma poi finisce che ami “Eptadone”, o la versione di “Fischia il vento” con la chitarra che stecca. Persino quel (brutto) inno del Bologna. Perché Freak era l’imperfezione ostentata. L’ostentazione dell’imperfezione. La sua perfezione.

7) Che educare al paradosso, al ribaltamento, a un’idea postmoderna di teatro canzone, non era un’esclusiva gaberiana e anzi, qui da noi, tra un ortaggio lanciato verso il palco e un vaffanculo, avevano trovato un modo meraviglioso di arrivare al mare.

6) Che puoi scrivere mille pezzi decisivi (i miei cinque preferiti: “Gli italiani son felici”, “Vacci piano con la droga”, “Sono un ribelle, mamma”, “Karabigniere blues”, naturalmente “Makaroni”) ma poi in radio passano solo “Mi piaccion le sbarbine”. E forse è giusto così. Altrimenti Freak non avrebbe potuto festeggiare, orgoglioso, “38 anni di insuccessi”.

5) Che non c’è da vergognarsi a essere poeti. Alti. Eterei. Basta sporcarsi le ali come faceva Freak. Il nostro Bukowski.

4) Che i geni non temono di farsi deprivare del copyright. “La fortuna è cieca, la sfiga ci vede benissimo”. “Toccato il fondo, a me capita di cominciare a scavare”. “A volte il fumo è meglio dell’arrosto”. “Mangiate merda: miliardi di mosche non possono sbagliarsi”. Sono nel repertorio comico di chiunque. Perché Freak era e sarà repertorio dell’umanità.

3) Che perdere può essere bellissimo. E c’è da sperarlo, che lo sia, visto che succede spesso. Che una sconfitta rotonda, assoluta, tempestiva, definitiva, è un atto epico e va celebrato. Esattamente come la morte.

2) Che siamo tutti figli suoi. Bolognesi e non, artistoidi e non, consapevoli e non. Soprattutto e non.

1) L’ultima cosa che ho imparato no, non c’è. Perché anche questo ricordo, che non è bello come avrei voluto, forse diventa meno banale se finisce senza una chiusa, senza una frase inutilmente roboante, senza retorica. Qualcosa che, se ci fosse, suonerebbe più o meno così: “Signore dei dischi, abbi cura di Freak”.

Uscito sul Corriere di Bologna 

Makaroni del 10 febbraio 2014

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VIA DAL CAMPO Toro-Bologna, canzoni rivisitate: “Dai Diamanti non nasce niente, dalla difesa granata nascono i fior”.

PRONTA, RAFFAELLA Balotelli chiarisce: “Ho pianto perché mi era arrivato il totale degli alimenti che dovrò pagare alla Fico”.

ASOCIAL NETWORK Balotelli ha riconosciuto il figlio con un tweet. Per contattarlo nuovamente, aspetterà che impari a giocare a Ruzzle.

MELLIFLUO “Ogni volta che vedo le conferenze stampa di Mazzarri mi sorge sempre un dubbio: ma è proprio così coglione o pensa davvero che lo siamo noi???? Probabilmente sono vere entrambe le cose…”. (Post su facebook del team manager del Parma Alessandro Melli che si è poi scusato)

SOCHI, MALEDETTI E DOPO La copertura Rai delle Olimpiadi di Sochi è così capillare che gli spettatori si accorgeranno che erano solo su Sky quando saranno finite.

RENZISMI “Christof Innerhofer?”. “Who?” “Christof Innerhofer, the silver medal, what do you think about?”. “Mmmh” (Elisa Calcamuggi e Bode Miller, Sky)

COGNOMEN OMEN Dopo le prime medaglie azzurre guadagnate da Innerhofer e Zoeggeler, l’Austria ha deciso: il prossimo portabandiera si chiamerà Gerardo Gargiulo.

FIGLI DI PUTIN Questione divise: quelle tedesche non erano un segnale antiomofobia ma un omaggio alle Olimpiadi del 1972. Le tute nere Moncler/Mussolini dei pattinatori italiani invece citano quelle del ’36 a Berlino.

MA CHE FREDDO FA Nessuna conseguenza dopo il flop della cerimonia inaugurale, che ha visto uno dei cinque cerchi olimpici rimanere spento. Lo comunica il responsabile delle coreografie, dalla Siberia.

MANCAMENTI “Bentornato in Italia dopo quattro anni! Ti siamo mancati?”. “Sì, grazie grazie, soprattutto io mi sono mancato “ (Giorgia Bortolossi e Victor Obinna, Udinese-Chievo, Sky)

NOMEN OMEN “Kakà non è in grado di giocare soprattutto ha perso tre chili in due giorni”. “Io volevo un consiglio: volevo chiedere a Kakà come si perdono tre chili in due giorni”. “Potete immaginare magari, lavorate un po’ di fantasia” (Mauro Tassotti e Billy Costacurta, “Skycalcioshow”)

PROMISCUITA’ “Carlos, la capacità di accoppiarti sempre con gli altri attaccanti credo sia una tua grande qualità” (Luca Marchegiani a Carlos Tevez, “Skycalcioshow”)

ORA DI PRANZO “Tardelli mi dicono che vomitasse sempre spesso però poi con la sua adrenalina riusciva a far bene” (Stefano De Grandis in diretta alle 13.21, “Benedetta Domenica”, Sky)

ULTIM’ORA Stasera a Voyager: finalmente trovato il tizio che fa i cerchi nel grano. E’ il parrucchiere di Balotelli.

Uscito sul Corriere della Sera

Makaroni del 27 gennaio 2014

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SARO’ SINTETICO Schillaci, visto ieri a “Quelli che”, avrebbe senz’altro la testa per fare l’allenatore. Infatti porta gli stessi capelli di Conte.

SARO’ SINTETICO/2 “Noi diciamo sempre che il nostro slogan è: ‘Quello di gennaio può essere un mercato dove ci possono essere delle opportunità che si possono cogliere valutando che noi non abbiamo da riparare nulla perché noi siamo un gruppo… ‘ (Beppe Marotta, “Skycalcioshow”)

M(ALINO) Dramma Diamanti: ieri dopo il pari del Bologna al 90’ non ha esultato perché di recente è stato colpito da una terribile perdita: i 4 milioni a stagione del Guang Zhou.

LA PAROLA ALL’ESPERTO “#milan il 4~2-3-1 è veramente incomprensibile #seedorf SEI FUORI” (tweet di Flavio Briatore col Milan sotto di un gol, ieri)

LA FAVOLA DI GINOCCHIO Piccolo problema tecnico per gli spettatori di Premium: le interviste di a Seedorf sono così incalzanti che dal televisore esce profumo d’incenso.

OVVIAMENTE “Denis sfiora il gol… e Colantuono si mette le mani nei capelli, è un eufemismo ovviamente” (Roberto Prini, Torino-Atalanta, Sky Diretta Gol Diretta Gol)

PORTA A PORTA Fosse vero (e non è vero) che Buffon ha una relazione con Ilaria D’Amico, il portiere del Bologna Curci, per la legge delle proporzioni, dovrebbe aver preso una cedrata con Varriale anni fa.

POVIA PRO NOBIS Una buona notizia per l’Inter: secondo Povia, che nei giorni scorsi aveva attribuito i terremoti all’eccessivo dinamismo dei 7 miliardi di abitanti della terra, l’unico luogo totalmente antisismico risulterebbe essere il centrocampo nerazzurro.

VOCE ‘E NOTTE Attimi di ilarità assoluta a “Stadio Sprint”: mentre parlava Donadoni, andava in sovrapposizione un’intervista a Guidolin, col risultato di creare una specie di traduzione italiano-italiano. Ci si potrebbe riprovare quando parla Cassano.

SARA’ UNA BELLA SOCHIETA’ Secondo fonti non confermate, la realizzazione del promo olimpico di Sky con Alberto Tomba ha richiesto oltre cento take: invece di Sochi continuava a ripetere Socmel.

CREDARE, OBBEDARE, COMBATTARE “Marchisio cresce molto, ma noi onestamente credavamo e crediamo in lui” (Beppe Marotta, “Skycalcioshow”)

TRIESTE, SOLITARIO Y FINAL Primi effetti dell’acquisizione del Leeds da parte di Cellino: dalla prossima giornata giocherà le gare interne ad Anchorage, in Alaska.

MAGLIE DEL CAIRO Colpo Macron, l’azienda di abbigliamento che in settimana aveva presentato una nuova variante delle divise mimetiche disegnate per il Napoli: da febbraio vestirà anche i ribelli egiziani.

Uscito sul Corriere della Sera

Una cosa retorica su tifo, ultrà e striscioni del menga

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Ho amici ultras.

Detto così, sembrerebbe la classica captatio benevolentiae che nasconde antipatia (esempio: “Non sono omofobo, ho tanti amici gay”).

Mi auguro invece sia un prodromo di tono, da malato del Bologna quale sono, per quello che vado a scrivere. Senza troppi giudizi, spero senza pregiudizi. Farò domande.

A proposito di pregiudizi malriposti: quando domenica è apparso l’arcinoto, e non originalissimo, striscione su Napoli, i miei riflessi condizionati sono scattati come un relais. In passato m’era toccato di duellare per iscritto con la parte “nostalgica” della curva, ricavandone attenzioni importanti che spaziavano dagli insulti alle minacce. Va bene (no, le minacce non vanno bene. Ma siccome l’impopolarità è insita nel mestiere che mi sono scelto, citerò nientemeno che Matteo Salvini: ci sta).

Così mi sono autoassolto: saranno stati loro – mi sono detto – anche perché il lenzuolo galleggiava da quelle parti. La curva è grande, le anime tante. Mi sono crogiolato nella tesi della sparuta minoranza, e anche che quella minoranza fosse diversa da me. Bene: coscienza 2, realtà 0. Palla al centro.

Poi un mio amico ultras, uno di quelli che nella vita di tutti i giorni, per dire, lavorano concretamente per la tolleranza e l’integrazione tra i popoli, lo so per certo, ha scritto la sua sui social. Un post lungo, in cui confessava di soffrire, quando dalle altre parti inneggiano alla strage del 2 agosto, perché quelle son cose serie, ma che il resto, anche quello striscione, rientrava nella logica da curva che dal di fuori è impossibile capire.

Ops.

Infine Paolo Alberti, già capo della Fossa dei Leoni, un tipo simpatico e intelligente che mi pare avesse inventato anche la celeberrima V rosa anti Virtus, capolavoro di ironia per cui rido ancora adesso, uno, se ben ricordo, che era in prima linea quando si trattava di raccogliere fondi in curva per i terremotati, una persona con cui, penso, non farei fatica a trovare un denominatore di discussione davanti a una birra, ha consegnato il suo pensiero alla rubrica che ha sul sito di Alberto Bortolotti: Playblogna.it.

E ha scritto, in un italiano forbito, con una sintassi che alcuni colleghi si sognerebbero, una specie di bollettino politico. Lo sunteggio: l’abbiamo fatto apposta, volevamo che se ne parlasse, cori e striscioni erano volutamente razzisti per protestare, tra l’altro, contro le squalifiche per discriminazione territoriale, e anche perché quando il Napoli viene qui sembra giochi in casa, e siamo noi quelli recintati dalla Polizia. Il messaggio – riassumo ancora – era per gli Abete, i Galliani, quelli che hanno ucciso il calcio, quelli che squalificano i giocatori corrotti ma poi li graziano, che veicolano assenza di valori, e comunque dov’era, Gianni Morandi, quando la società veniva devastata e il buon nome del Bologna e di Bologna violato?

Ora, Paolo, io sono d’accordo con una parte importante delle tue analisi, tolto l’accenno secondo me del tutto ingeneroso a quella bella persona di Gianni Morandi.

Sono d’accordo sul calcio farlocco, sul giocattolo lordato, sulla lotteria impossibile a cui devono vincere sempre gli stessi, sugli interessi immediati che, all’italiana, prevalgono su una decente programmazione. Sono d’accordo su Guaraldi, per quanto mi chieda chi altri in città – questa è Bologna: guardati intorno – abbia mosso passi concreti per sostituirlo. Sono d’accordo sulle curve tenute come tuguri, sugli ultras trattati solo come un problema di ordine pubblico. Sono d’accordo su quella poderosa presa per i fondelli che è la tessera del tifoso.

Però, siccome la domenica ti sei assunto l’onere o l’onore di rappresentare la mia città, dunque me, vorrei chiederti quand’è che ti ho delegato a protestare in quel modo agghiacciante, scindendo il messaggio dal mezzo, lo stesso che avete usato per l’Heysel, o contro la debolezza umana di un altro uomo perbene: Pessotto.

Vorrei chiederti se davvero lo stai facendo, con quel tono a me irricevibile, per un calcio migliore, per il Bologna, per Bologna, o per una semplice affermazione territoriale, una dimostrazione muscolare, e se dunque tu – e in generale gli ultras, al netto di ogni analisi sociologica che non mi compete e non saprei fare – non stiate invece prendendo in ostaggio la mia passione e quella di qualche altro per fini diversi. Legittimi finché vuoi, ma diversi. Personali.

Perché – è l’unica opinione, il resto sono davvero domande, e so che avrai la compiacenza di rispondermi – è vero che il cosiddetto calcio moderno, dunque televisivo, sta svuotando gli stadi. Ed è anche vero che non possiamo pretendere allo stadio qualcosa di diverso dalla mentalità che anima tutto il Paese, in qualunque campo, soprattutto la politica, e cioè che gli altri sono nemici indistinti contro cui protestare (lo Stato, Equitalia, la Lega calcio) e noi puri, invece, siamo sempre legittimati a fare ciò che vogliamo da un bene superiore, che siano la rivoluzione, la partita Iva, o un gol di Rolando Bianchi. Però se io non porto più mio figlio allo stadio, e del calcio (purtroppo) non gliene frega una beneamata favola, è anche perché penso che novanta minuti di vaffanculo, e quella scritta, non siano una cosa normale. Non qui, almeno un tempo. Ed è il motivo per cui ieri eravamo su tutti i giornali, e persino da Vespa: la percezione di un popolo si forma lentamente, dunque si stupiscono che accada a Bologna. La tua, la mia.

Anzi, e ti saluto, voglio usare un luogo ancora più comune: i novanta minuti di vaffanculo creano gli stadi di domani. E poi succede come ai piccoli tifosi della Juve, che nella curva squalificata neanche dovevano esserci, con la loro triste imitazione degli insulti che di solito usiamo noi adulti.

Avresti mai pensato di trovarti lì, accanto a loro? Ecco: ci sei. Ci siamo.

Forza Bologna.

 

Uscito sul Corriere di Bologna