Oggi è nato il Pd+Stelle. Buon divertimento

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renzilloNon credo che Roberto Giachetti sia il cafone maldestro apparso oggi all’Assemblea Nazionale del Pd.

Le sue battaglie politiche hanno sempre risentito della gratuità garibaldina dei radicali. Di molti radicali, va’. Lo era pure Capezzone.

Persino immolarsi contro la gragnuola annunciata del trionfo grillino a Roma è stato a suo modo un gesto coraggioso e alto.

A maggior ragione, l’infelicissima uscita contro Roberto Speranza – di cui, sia chiaro, m’interessa zero, così come del dibattito piddino – risulta paradigmatica di una definitiva mutazione genetica.

Anzi, della nascita di un nuovo partito.

No, non quello della Nazione: il Pd+stelle.

Facciamo due conti.

Chi non tollera il benché minimo dissenso interno? Il M5S. Ma anche il Pd+Stelle.

Chi incita i propri fedeli contro ogni diverso parere? Il M5S. Ma anche il Pd+Stelle.

Chi coltiva all’estremo personalizzazione e leaderismo della politica? Il M5S. Ma anche il Pd+Stelle.

Chi divide sistematicamente il mondo in noi e loro per compattare le truppe? Il M5S. Ma anche il Pd+Stelle.

Chi riduce a uno l’avversario? Il M5S (“Ma il Pd invece?”). Ma anche il Pd+Stelle (“Allora volete Grillo!”).

Chi difende i propri a spada tratta dalle stesse accuse giudiziarie che per gli altri sono infamanti e necessitano di immediate dimissioni? Il M5S. Ma anche il Pd+Stelle.

Chi attacca l’Euro, i tecnocrati, i poteri forti, nascondendo il proprio potere e vendendosi come underdog vessato? Il M5S. Ma anche il Pd+Stelle.

Chi evita di usare parole poco popolari come mafia e lotta all’evasione fiscale? Il M5S. Ma anche il Pd+Stelle*.

Chi attacca i giornalisti con la scusa di difendere la libertà di stampa? Il M5S. Ma anche il Pd+Stelle.

Potrei continuare, ma chiudo con la consonanza che ha fregato anche Giachetti: chi crede che la politica non debba proporre linguaggi magari ampollosi ma nobili, che chi è eletto debba esserlo per davvero anche nel modo di esprimersi, che la forma sia sostanza, il mezzo sia il messaggio, chi si comporta come un contropotere ma utilizza un linguaggio falsamente satirico, fintamente popolare, che abbatte sugli altri pur pretendendo rispetto per se stesso? Il M5S. Ma anche il Pd+Stelle.

Voi siete qui. E vi meritate (ci meritiamo) che continuino a indicarci la luna. Per farci abbaiare più forte.

Attenzione al dito, però.

 

*In realtà oggi Freud ha fatto sì che Renzi si vantasse pubblicamente di aver aumentato l’evasione fiscale e di volerla aumentare ancora di più. Poi si è corretto, Ma resta un lapsus meraviglioso

Della concorrenza all’italiana spiegata attraverso una valigia persa su Italo

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Attenzione: pezzo lungo e a forte rischio esticazzi

L’altra sera, Bologna-Roma, Italo.

All’atto di scendere scordo la valigia a bordo.

Il treno si ferma lì, è l’ultimo della sera, la carrozza è vuota. Tre evenienze che mi fanno sperare di ritrovarla, nonostante non si sia in Svezia.

In fondo basterebbero un capotreno onesto e pronto  – cioè controlla il treno prima che vada in deposito, come immagino dovrebbe fare  – o un addetto alle pulizie onesto e basta (dopo) per farmi rientrare in possesso del bagaglio.

La mattina dopo alle 7 chiamo blandamente fiducioso il call center di Italo, ma quello gratuito serve solo per comprare i biglietti. Se hai bisogno di altro, paghi oltre un euro al minuto.

Faccio l’altro numero. La situazione sembra professionale: un’addetta mi chiede i codici, i miei dati, e mi dice che sarò richiamato. “Per essere sicuro però le converrebbe andare alla lounge Italo di Roma Termini”.

Non ho tempo di andare alla lounge (#fastidio). Aspetto fiducioso. Non chiama nessuno.

A metà giornata ritelefono. Ripago. Mi fanno presente, cortesissimi, che loro stanno a Reggio Calabria. Chiedo notizie. La mia segnalazione precedente non risulta. “Però le conviene andare a Termini”. Io: “Naturalmente la lounge non ha un numero pubblico”. Loro: “Non ce l’abbiamo neanche noi”.

La sera, finito di lavorare, vado a Termini.

Quando espongo il mio caso all’impiegato della lounge mi scruta con lo stesso sguardo che ha la Raggi quando vede una delibera: “Ma chi: io?”. Mi spiega cortesissimo che loro non c’entrano niente. Mai visto valigie in vita sua. Devo andare alla Polfer.

Esco, accoppiando mentalmente nostro signore ad alcuni animali da cortile. Raggiungo il casotto provvisorio della Polfer al centro della vasca di Nervi. Busso. Non rispondono. Guardo attraverso i vetri oscurati: nessuno.

Comincio allora a vagare nella ricerca di un agente. Ne trovo uno che sta dando indicazioni a due giapponesi in un inglese che persino Matteo Renzi troverebbe deprecabile. Cortesissimo pure lui, si offre di accompagnarmi al commissariato vero e proprio. O come si chiama.

Sembra Paolo Di Canio. A giudicare dal berretto fuori ordinanza (modello due taglie più piccolo: da falchetto) forse la pensa allo stesso modo politicamente.

Durante la lunga camminata – la Polfer è dentro Termini ma ai confini con Frosinone – chiacchieriamo del dato che rende possibile la mia odissea minima: le Ferrovie dello Stato, che gestiscono le stazioni e le sfondano di esercizi commerciali fino a non lasciare spazio manco per i treni,  hanno abolito da alcuni anni gli uffici oggetti rinvenuti, che costerebbero come dieci minuti dell’affitto di Yamamay a Milano.

La procedura attuale prevede(rebbe) che l’eventuale buon samaritano, ove trovasse qualcosa sul treno, andasse all’apposito ufficio del Comune di Roma che sta a Ostiense, dall’altra parte della città.

Sottolineo l’inciviltà della cosa, lo scarico della responsabilità, il sostanziale “cazzi tuoi”.

Risponde che sì, ho ragione. Però dietro all’abolizione di quell’ufficio potrebbero esserci altri motivi. “Magari la gente se ne approfittava”. Mentre sto per chiedergli che tipo di prevaricazione potrebbe mettere in atto uno che perde una valigia, siamo arrivati.

Mi deposita davanti a un citofono. Suono il campanello. Voce gracchiante: “Oggetti smarriti?”. Il che rivela l’esistenza di una procedura parallela: la Polfer accetta in via del tutto eccezionale, per buona volontà, di trattenere ciò che non dovrebbe trattenere “ma solo se contiene cose di valore”. Io ho due maglioni appena comprati che, ove indossati, forse mi eviterebbero di sembrare la controifigura anziana di Pig Pen.

Mi sa che non basta.

Do indicazioni, sempre al citofono. Va a cercare. Dopo 10’ il citofono crepita di nuovo. Niente.

Impietosito, l’agente di guardia esce a congedarmi. Cortesissimo. Mi spiega che loro vanno oltre il loro dovere, e che in magazzino c’è solo una valigia con dentro un tablet.

Contemplo mentalmente l’ipotesi di appropriarmene, ma è un attimo. Lo saluto.

Mentre ripercorro a ritroso il percorso verso l’albergo – la procedura mi ha fatto perdere l’ultimo treno per casa – e associo altre creature del mondo animale a parenti di primo grado delle più comuni divinità, realizzo che ho bisogno di sfogarmi. Cortesemente.

Chiamo il call center a pagamento, mantengo una calma olimpica, ma rilevo che mi hanno dato una quantità importante di informazioni false. E a caro prezzo.

Quella mi ascolta, cortesissima, e allarga le braccia: “Ha ragione su tutto. Ma siamo a Reggio Calabria”.

Stamane torno a Termini, alla lounge: vorrei annunciare fiero a qualcuno in carne e ossa che d’ora in poi piuttosto che viaggiare su Italo prendo il calesse. Una ragazza, cortesissima, mi dice che sì, normalmente le valigie vengono lasciate anche da loro (quello della sera prima doveva essere un mitomane con la divisa di Italo) ma non ha ricevuto niente. Devo andare alla biglietteria di Italo e parlare con una responsabile.

Vado alla biglietteria. Dove trovo una bigliettaia, cortesissima, che mi fa aspettare un po’ e mi introduce alla responsabile. Cortesissima. Mi ascolta mentre le ripeto la litania, cortesissimo pure io, comprensivo verso chi mette la faccia per un’azienda che ha fatto tagli clamorosi e costringe i lavoratori a continue figure di melma.

Spiego tra l’altro che i casi sono due:

o la mia valigia se l’è ciulata qualcuno che ha normali rapporti di lavoro con Italo, quindi farebbero meglio a controllare chi si mettono in casa.

Oppure è ripartita col treno che avevo preso io e quindi c’è un bagaglio non controllato da alcuno che viaggia per l’Italia. Meno male che non siamo sotto le Feste e non ci sono allarmi terrorismo.

Dice che ho ragione, che praticamente ho spiegato io a lei quel che succede, che è colpa delle Ferrovie dello Stato, che loro, loro di Italo, ci hanno anche provato a ridare le cose ai passeggeri. “Ma poi magari la gente se ne approfittava”. Ora posso a chiederlo a lei: in che senso se ne approfittava? “Sa, magari volevano recuperare i guanti, i cappelli, gli occhiali”.

In effetti è surreale: perché mai uno che ha perso sul treno un paio di occhiali, magari costosi, vorrebbe recuperarli col pretesto che non ci vede?

Lascio il mio telefono alla responsabile cortesissima nella speranza che Babbo Natale si palesi  e mi rimandi la valigia. Non accadrà. Speriamo che i miei maglioni stiano bene al nuovo proprietario.

Morale: Grandi Stazioni (Trenitalia), abolisce gli uffici oggetti smarriti perché costano. Italo abolisce il personale che potrebbe aiutarti a recuperarli. Perché costano. Entrambi negano informazioni alla clientela, o le danno sbagliate attraverso un girone dantesco che assimila disorganizzazione e malafede, e dopo averti carpito il prezzo deli biglietto ti lasciano ad arrangiarti persino in minime emergenze come questa. Lucrando una doppia posizione dominante.

Infine, io sono diventato impopolare al lavoro portando gli stessi vestiti per due giorni.

Però avete notato che sono tutti cortesissimi?

De Luca fuori dal Pd, #bastaunsì

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(ANSA - GENNY SAVASTANO) De Luca mentre chiede a Renzi se sa chi lo saluta un casino

(ANSA – GENNY SAVASTANO) De Luca mentre chiede a Renzi se sa chi lo saluta un casino

Ci tengo a dire una cosa, pacatamente: a me delle panchine di Salerno non frega un cazzo.

E anche della splendida illuminazione, di Salerno.

Che un sindaco qualunque metta le panchine e illumini le piazze mi sembra il minimo. E non trovo che per questo lo si debba idolatrare – specie lontano da casa sua, ma si sa che le mitologie si giovano della distanza chilometrica – e accettarne estro, linguaggio, postura verbale.

Mi sembra pochino anche per diventare presidente della Regione.

Perché Vincenzo De Luca è principalmente un intimidatore.

Il suo linguaggio diverte se lo fa proprio un bravo comico. Ma deprivato della satira fa paura.

Lo fa quando pesa e cadenza le parole contro i grillini (che non hanno titolo per criticare le violenze verbali altrui, ma non per questo devono esserne vittima) e quando, convinto di non essere ripreso, augura la morte a una compagna di partito. Dandole dell’infame.

Il dettaglio lessicale non è un caso.

L’infamità è tipica di un linguaggio malavitoso, curvaiolo, ultrà. È un aggettivo che attiene al patto tradito, al familismo violato, all’omertà non rispettata.

Occhio: questo non significa che De Luca sia un mafioso.

Significa che la sua cultura è quella della devastazione altrui, del rancore che porta conseguenze, della minaccia politica come stile di governo.

La cultura che i peggiori luoghi comuni affibbiano al Sud. Tutto il Sud. Anche quello che certo linguaggio schifa. Come schifa chi lo sparge per il Paese.

Quando mi sono permesso di suggerire al Premier (o al segretario del Pd, che sono poi la stessa persona) di prenderlo a metaforiche pedate, i renziani più accaniti mi hanno subito tacciato di critica preventiva e immotivata.

Ma la mia non era una critica*, anzi. Mi offrivo come spin doctor gratuito.

Pensateci: il primo Renzi aveva conquistato fior di consensi promettendo la rivoluzione. La rottamazione. La ripartenza gioiosa.

Ora: cosa c’è di più rivoluzionario che abbattere con un gesto plateale la non emendabilità del nostro Mezzogiorno?

Cosa c’è di più clamoroso, innovativo, realmente coraggioso che mandare all’ammasso i voti che De Luca garantisce – e quanti – spiegando che la vera battaglia è culturale e passa anche per la pulizia di casa propria?

Una delle accuse che il new deal leopoldiano riversa sulla sinistra d’antan è il non saper vincere. Ha ragione. Anche se al momento Renzi ne ha vinta una sola, ed era un’amichevole.

Però il “come” si vince è importante. E vincere accontentandosi dello status quo, coi soliti voti, col senso comune che fa strame del buonsenso, senza nominare mai mafia, camorra, evasione, manco per sbaglio, qualifica certe vittorie, tipo quella di De Luca,  come mero esito di una contingenza azzeccata. Senza alcun gesto concreto per cambiare, davvero, l’anima profonda di un Paese che ha un terzo dell’economia in mano alla criminalità organizzata e si ciuccia ogni anno 270 miliardi nero. Roba che ad Amatrice potresti farci le scuole a castello. Disegnate da Renzo Piano. In oro massiccio.

Non so (non m’intendo di politica) se il presidente del consiglio sia davvero uno splendido tattico ma uno stratega raffazzonato. Fosse solo un tattico, ribadirei il consiglio che mi ero permesso di dare: allontanare De Luca. Ora.

Se i sondaggi sul referendum sono veri, sarebbe l’unico modo per recuperare qualche voto a sinistra, quella sinistra cui sta radendo al suolo la casa. Fossero falsi, arriverebbe al trionfo col vento in poppa della prima decisione (la seconda, va’: le unioni civili sono un bel colpo) realmente esemplare presa in mille giorni di governo.

Sennò, temo, ci stiamo prendendo in giro. Come chi mette quattro luci in piazza e poi avvelena i pozzi augurando la morte a chi gli si para davanti.

Coraggio Matteo: lasci De Luca al proprio destino. E lo separi dal suo. Adesso. #bastaunsì.

*certo che era una critica, ma altrimenti non mi avrebbe retto l’impianto retorico del pezzo

 

 

 

Perché il modello Cinque Stelle a Mirandola ha funzionato perfettamente

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La notizia vera: a Mirandola, provincia di Modena, zona terremotata nel 2012, la palestra di una scuola elementare è stata ricostruita anche con 425.000 euro donati dal MoVimento Cinque Stelle, che comunica di averli ricavati da un avanzo di bilancio dell’ultima campagna elettorale. Ieri la struttura è stata inaugurata in pompa magna, presenti anche Peppe e addirittura Luigi Di Maio, che stavolta aveva compreso il testo della e-mail.

La notizia come la dà Carlo Sibilia: a Mirandola i Cinque Stelle hanno ricostruito la palestra di una scuola elementare. Punto.

Sfumature a parte – Sibilia è quello che voleva far sposare uomini e animali, tra le altre cose, non gli si può chiedere precisione – sembra cosa buona e giusta.

Invece trattasi di sciacallaggio politico.

Vado a spiegare perché:

nel comunicare l’avvenuto, Beppe Grillo parla di modello a Cinque Stelle. E il modello Cinque Stelle prevede che i partiti, i quali per incidere sulle vite dei cittadini avrebbero a disposizione la loro attività politica, versino direttamente denaro a chi ritengono meritevole. Intestandosene gli effetti e sperando di lucrare voti dove c’è emergenza, disintermediando. Pure dove l’emergenza è stata gestita benino come in Emilia, anche se i trombettieri del movimento hanno fatto passare Vasco Errani come un mezzo camorrista.

Non siete convinti? Allora ripassate bene la vicenda del fondo per le piccole medie imprese che i Cinque Stelle hanno mediaticamente fatto loro. Esisteva già, è un sostegno di Stato, nel quale il partito di Casaleggio e Grillo ha cominciato a far convergere i quattro spicci che i Cittadini decurtano dallo stipendio parlamentare. Sommati, quei soldi diventano una discreta cifra che è finita anche nelle casse di aziende aderenti a Confapri, sorta di Confindustria a Cinque Stelle, che annovera tra i suoi esponenti Massimo Colomban, imprenditore  che vuole il Veneto fuori dall’Italia ma intanto non disdegna una poltrona da assessore a Roma Ladrona.

Quei soldi quindi vanno ad amici. In qualche caso a soci.

Non che sia una novità – Dc, Pci e loro eredi hanno da sempre utilizzato gli stessi metodi per le cooperative – ma si traduce in una sola parola: clientelismo. Spacciato però per iniziativa politica rivoluzionaria. Un’iniziativa che come sempre puzza di antiStato. Ed è, nelle intenzioni, l’ennesimo passo verso la presunta democrazia diretta, che di diretto ha principalmente il conflitto d’interessi replicato su vasta scala.

Non se sono stato chiaro, ma spero di aver spiegato perché, come scrivevo in un tweet, talvolta lo sciacallaggio (politico) sul terremoto può arrivare anche a quattro anni di distanza dal sisma.

Saluti (foto di Anna)

 

Ndr Per spiegare quanto questa donazione sia stata disinteressata, ricorderei come i simpatizzanti del MoVimento accolsero il magro risultato elettorale post sisma di Mirandola: così

Con Beppe Grillo per difendere la Costituzione

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http://www.unita.tv/wp-content/uploads/2016/09/Grillo-755x400.jpgCaro Beppe,

la devi smettere.

No, dico, la devi proprio smettere di additare nemici ad minchiam a un popolo che non vede l’ora di menare le mani. Poi finisce come a Palermo che i tuoi adepti più facinorosi se la prendono con chi fa il proprio lavoro, all’insegna del “tutti uguali” con cui non a caso cominciasti la tua campagna: l’obiettivo del primo secondo Vday non erano i cattivi politici. Era la stampa (ai tempi) sovvenzionata. Volevi, oggi come allora, fare informazione solo tu. Radere al suolo le differenze tra chi nobilitava la professione e i corrotti. Azzerare, disintermediare, promuovere una voce sola. Quella pura e giusta di chi ha la verità in tasca. Una roba – chiedo scusa per il francesismo – che di solito accade nei regimi fascisti.

La devi smettere perché state per governare. E se certe cazzate autoritarie le fai da un blog o da un palco, è comunque arietta da Ventennio applicata alla politica quotidiana e, per usare un altro francesismo, un atteggiamento squadrista. Ma quando le squadracce vanno al potere (già visto) comincia il pericolo vero. Perché c’è il caso che si vogliano regolare dei conti. E io Erdogan al pesto, potendo, me lo eviterei.

Ma soprattutto sai perché la devi smettere? Perché bisogna difendere la Costituzione. Certo, l’articolo 70. Certo, tutti gli altri che Renzi e i suoi vogliono cambiare (con una concentrazione di poteri che ti gioverebbe, ed è nobile da parte tua volerla evitare) ma anche quel cazzo di Articolo 21. Quello di cui hai fatto strame in questi anni raccontando e ripetendo la celebre panzana acrobatica della libertà di stampa in pericolo perché i giornalisti sono servi, quando la famosa classifica – basta leggerne le motivazioni – ci vede in coda perché troppo spesso i giornalisti bravi sono umiliati, offesi, aggrediti. Anche dai politici. Anche con roba tipo “Il giornalista del giorno”. O addirittura “Il satirico del giorno”. Che quando finisce sul blog, diventa un bersaglio. Ora anche fisico. Tra il giubilo dei colleghi più puri che intravvedono nuove quote di mercato e nuovi spazi per dimostrarsi i più cristallini e i più intangibili.

Quell’articolo 21, quello sulla libertà di espressione, recita una cosa semplice e non negoziabile: ognuno può dire quello che gli pare, e pubblicarlo, senza vincoli. Ma ne sottende un’altra ancora più semplice: ognuno ha il diritto di esprimersi anche quando non è d’accordo con te e con l’altro tizio che è salito sul palco ieri per diritto dinastico. Anche se onestamente (onestà-onestà-onestà) non vede in Di Maio il nuovo Eisenhower, anche se crede che Rocco Casalino dovrebbe tornare al Grande Fratello e la Raggi non ci stia, al netto di certe opacità, semplicemente capendo un cazzo. E questo non fa di lui un corrotto, un venduto, un tizio cui mettere le mani addosso.

Siccome vincerete, perché state raccogliendo il consenso unanime di tanta brava gente ma anche di chi ha respirato berlusconismo per vent’anni (come Renzi, peraltro) e ora non sa vivere senza un nemico, citerò il celebre filosofo statunitense Ben Parker: da grandi poteri nascono grandi responsabilità. Imparate da ora cos’è a democrazia vera, non quel patetico simulacro online che vuole mettere le manette ai deputati e riaprire le case chiuse e, finché siete in tempo, cercate di capire che avrete la libertà di un Paese per le mani. La riceverete in dono. Anche da me.

Quella libertà che è come l’aria: di tutti, pulita, necessaria. Dunque alla mercé di chiunque voglia sporcarla. Ma per fortuna, come si è già visto qualche decennio fa, anche nella disponibilità di chi voglia difenderla. Gli stessi che te l’hanno consegnata. Per rispettarla.

In alto i cuori. Impara. Il tempo stringe. Ciao.