Perché la Raggi su Malagò ha ragione (e qualche altra pacata considerazione su Roma 2024)

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olimpiadi-cinque-stelle“Negri; Furlanis, Pavinato; Tumburus, Janich, Fogli; Perani, Bulgarelli, Nielsen, Haller, Pascutti (Capra)”.

Fino a ieri, sapevo che mai avrei visto il Bologna rivincere lo scudetto. Anzi, che mai l’avrei visto vincere, visto che nel 1964, quando accadde l’ultima volta, manco ero nato.

Sapevo che mai avrei visto la festa che toccò a mio padre, ai suoi amici, ai suoi fratelli, in quel giugno di 52 anni fa. Con lo spareggio. Contro l’Inter. Sapevo che avrei dovuto contentarmi di ricordi non miei. Della città silente e poi festante mentre le radioline gracchiavano la diretta dallo stadio Olimpico di Roma.

Ecco, l’Olimpico.

Da oggi pomeriggio so che, mancate quelle del 1960 per ragioni anagrafiche, non potrò vedere da vicino manco le Olimpiadi.

Fossi stato la Raggi, avrei detto una cosa semplice e dritta: ma vi pare che ci imbarchiamo in questa avventura insieme a Malagon de’ Malagoni e Montezemolo, cioè due che hanno sulle spalle i disastri dei Mondiali di nuoto del 2009 e di Italia ’90? Sarebbe stata una precondizione perfetta per oggettivare il no: “Cambiateli e ne parliamo”. Non li avrebbero cambiati. Sipario. Applausi.

Invece è stata inscenata una pantomima di mesi, frutto delle divisioni correntizie del non partito, e oggi si racconta che il no significa semplicemente rispettare la parola data. E non è vero. Perché mentre il sacro blog tuonava contro i Cinque Cerchi, Di Maio andava in tv a promettere che i Cinque Stelle sarebbero stati l’anima di un’Olimpiade pulita. E la sindaca prometteva un referendum.

Travaglio (lo scrivo anche per evitare un’altra pur interessante gragnuola di sms) ha certamente ragione: le Olimpiadi rischiavano di essere un omaggio ai soliti noti romani, agli interessi di Caltagirone e amici vari, ai poteri forti e compagnia cantante. Però lo dico in francese: ma se non le fate voi, chi cazzo le deve fare? Chi può fare argine con l’onesta – onestà-onestà – alle speculazioni e alle corruttele? Chi può dimostrare agli italiani che le cose si possono fare senza cadere nel marcio? E che, se si presenta, il marcio può essere affrontato e debellato?

Dice: pure tu stai difendendo la pagnotta, i tuoi editori (ne ho alcuni: uno non è grillino, uno da qualche tempo un po’ lo è diventato) e chissà quali interessi. Siccome invece non conto una cippa, e parlo per me, difendo le Olimpiadi solo ora che non si fanno. Perché difendo me, e l’egoismo di chi ha visto smaterializzarsi una festa e, al contempo, un soffio di speranza, di modernità e di futuro per questo Paese rinchiuso e incazzato, diventato ormai una specie di pagina Facebook livorosa in cui si cerca costantemente qualcuno a cui dare la colpa del proprio fallimento.

Che invece è di tutti.

Perché certo, i conti. Certo, gli impianti abbandonati intorno a Torino. Certo, il deficit di Londra. Ma se oggi l’Appendino si fa bella col lavoro dei suoi predecessori è anche perché la sua città è rinata coi Giochi. E con le Olimpiadi, la Gran Bretagna ha formato una generazione di atleti, e di giovani, che sono il seme del futuro. Quelli che ad esempio hanno votato contro la Brexit perché l’Europa, e il mondo, li avevano appena respirati. Conosciuti. Amati.

Non. È. Solo. Una. Questione. Di. Soldi.

È Politica.

La sconcertante conferenza stampa (slides, faccette e claque: pareva Renzi) con cui la Raggi e il suo tutore Frongia hanno spiegato la decisione, sembrava la nemesi perfetta di chi ha subito il complotto per vincere. E non sa da che parte voltarsi.

Chiedevano, i giornalai cattivi, dove avrebbero trovato i denari per ristrutturare gli impianti senza i fondi olimpici. Il vicesindaco ha risposto aggressivo qualcosa di condivisibile (“Opponiamo la cultura dell’ordinario a quella della straordinarietà”) ma poi non aveva idea di cosa argomentare nello specifico: come agire, su quali impianti, con quali soldi. Non avevano neanche pensato a come parare il colpo mediatico annunciando per filo e per segno cosa pensano di combinare ora. Parlavano delle piste di bob del 2006: roba che ormai manco più per i like su Twitter.

Se non si è capito, lo ripeto: Renzi e le sue ricette vuote, l’ottimismo berlusconiano fatto di niente, le leggi per licenziare spacciate per motori dell’occupazione, mi garbano quanto un gattino attaccato al sottoscala. Ma a dire “tanto in Italia va sempre a finire così”, a postare quattro foto sugli impianti non finiti, a denunciare massoni e banditi vanno bene un giornale o un blog. Se fai politica, ti sporchi le mani. Perché significa che lavori. L’importante è sapere come pulirle. E avere un piano per evitare che si sporchino di nuovo. Contaminare gli altri col proprio culto per la legalità. Che sennò è vuota enunciazione.

Significa avere il coraggio di cambiare un Paese. O una città, intanto. Dal basso. Dimostrando con i fatti che per far governare la società civile non abbiamo bisogno di importarla dalla Svezia.

Invece è stato un pomeriggio triste. Perché ha confermato che il problema dell’Italia sono principalmente gli italiani (cittadini, classe dirigente) che giurano di voler cambiare ma nel profondo pensano che nulla possa cambiare.

Mi sa che sia più facile lo scudetto del Bologna.

Una pacata opinione sul linciaggio della Raggi a Roma

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Non fosse grottesca, la caduta dal pero di Virginia Raggi sull’attenzione dei reporter sarebbe paradigmatica*. Simboleggerebbe perfettamente, cioè, la doppia morale grillina per cui tu puoi permetterti di mandare a fare in culo per quasi un decennio chiunque non la pensi come te, utilizzando – nel nome di una investitura divina – qualunque tipo di agguato semantico, forzatura, invenzione, complotto. Senza chiedere scusa mai. Puoi abusare delle credulità popolare indicando obiettivi da sottoporre alla lapidazione in ogni luogo e in ogni blog. Puoi alludere alle prestazioni erotiche della Boldrini, dare della vecchia puttana alla Montalcini, sguinzagliare Iene di partito contro gli avversari politici. Ma quanto tocca a te, è linciaggio. O massacro. (cit. Fatto Quotidiano).

Il guaio è che la Raggi è, forse, in buonafede. La Casaleggio and partners ha separato da tempo le azioni personali dalla responsabilità delle medesime. Ergo, ella ritiene che le debba essere risparmiato non solo ciò che il suo partito riserva quotidianamente agli altri – e in questo ha ragione, caspita se ha ragione: i toni andrebbero riscritti in toto – ma anche una qualunque forma critica, qualunque indagine giornalistica, qualunque attenzione informativa o persino satirica mediata da un’azione altrui. Potere di otto anni in cui, fingendo di voler proteggere la libertà di stampa citando classifiche ad minchiam, si è intimidito non solo il singolo giornalista ma la categoria in generale, delegittimando anche chi fa il proprio lavoro onestamente. Un lavoro nel quale è compreso andare a cercare dove stia il sindaco quando è scomparso da due giorni nel mezzo di una bufera fatta di assessori nominati con le estrazioni del bingo, avvisi di garanzia, balle spaziali, fughe da programmi televisivi – cui una volta si giurava di non voler partecipare – frequentazioni si spera incidentali coi peggiori poteri marci delle precedenti gestioni destrorse.

In questo mondo nel quale tutti hanno un prezzo, i cronisti sono creature eterodirette per mere ragioni di bottega. Sempre. Esiste un universo binario per cui ogni nota stonata rispetto alle balbuzie di una classe dirigente bugiarda (Di Maio), mitomane (Sibilia), rissosa e paracula (Taverna, Lombardi, Di Battista) serve a difendere Renzi e il partito democratico. Perché tutti teniamo famiglia. Anche io che di Renzi dico peste e corna ogni giorno col pretesto che di editori ne ho parecchi e quando posso mi edito da solo. E non ho il problema di dover guadagnare col mio blog. Quindi posso permettermelo. E se anche non posso, me ne fotto. Lo faccio lo stesso.

Ora, Virginia, dico davvero: ma l’ho firmato io o tu il pezzo di carta per cui se defletti dalla linea di un’azienda milanese paghi 150.000 euro sull’unghia? Chi è lo schiavo? Quello che fotografa incidentalmente tuo figlio, lo stesso che ti portavi sui banchi del Campidoglio quando ancora pensavi di stare nei meetup a far festa, o un sindaco che viene tenuto per la collottola intellettuale ed economica da un esagitato che vi abusa ad uso esclusivo della sua gloria, allo scopo di ottenere il pubblico plaudente per cui ogni guitto, anche il più talentuoso, venderebbe un rene?

La traduco: non siete legittimati. Non potete fare la morale a nessuno. Non siete voi che spegnete o accendete i riflettori, perché questa balla della disintermediazione per cui i giornalisti sono inutili birilli, e la sola informazione vera la fa direttamente un partito/azienda, è una cosa scurrile e pericolosa. Roba che quando avrete il potere vero, cioè tra poco, perché incarnate perfettamente l’Italia che chiagne e fotte, potrebbe diventare molto velocemente un’emergenza democratica.

Quindi adesso fa’ il favore, Virginia, di metterti il telefonino in tasca e di non riprendere chi fa il suo lavoro, lo stesso di gente che Grillo additava al pubblico ludibrio e cacciava dai comizi solo perché lavorava per la Rai. Lavoratori, gente normale, trattate peggio degli escrementi di cane. In modo classista, se capisci cosa intendo.

Perché è quello il problema: state al Governo e ancora fate i flimini, credete ancora di poter rispondere con tecniche acchiappaclic a gente che fa un altro mestiere. Un mestiere vero. Spesso nobile. Certo: ci sono giornalisti corrotti, incapaci, semplicemente acquiescenti. Ma la stampa: 1) rappresenta il Paese, proprio come gli elettori e i politici che dagli elettori vengono scelti. Quindi è fisiologicamente piena anche di brutta gente. 2)  In generale è un contropotere. E va preservato. Perché il giorno in cui l’avrete rasa al suolo, quando ti ritroverai come i Pizzarotti, le Mucci, gli Andraghetti, in mezzo a una gragnuola di cortigiani inferociti, con la bile caricata a pallettoni dalla famosa rete, non ci sarà più nessuno a difenderti dagli ordini di scuderia del Movimento.

Questo, se non un minimo di sensibilità civile, dovrebbe bastare a farti smettere con la pantomima.

Governa, se sei capace. Sei arrivata a gestire una città dove si sapeva con almeno sei mesi di anticipo che avreste stravinto. E non avevi la più pallida idea della squadra con cui avresti governato. E la Muraro dice di averti conosciuta a metà giugno, e chissà chi te l’ha indicata. Magari lo stesso che ti ha fatto il nome dell’assessore al bilancio per 15’. Altro che due fotocopie nello Studio Previti.

Al momento la giunta Raggi 1 è un Alemanno bis. E siccome tra chi ti ha votata c’è anche gente in buonafede, molta, che davvero sperava di cambiare, sarà meglio cominciare a darle qualcosa che non siano rottami di chi piazzava la pattuglia acrobatica dei suoi cognati all’Atac. Perché se avessero voluto il vecchio clientelismo o gli amichetti di mafia capitale si tenevano il Pd che ha azzoppato Marino. Col vostro decisivo contributo.

Altro che paparazzi. Altro che gossip. Altro che complotto. Smettetela di avvelenare i pozzi. E cominciate a lavorare per Roma. Perché se alla guida del Paese ci arrivate così, rischiate di raderlo al suolo. Grazie all’unico tratto che un tempo avreste avuto in comune con le Olimpiadi: il dilettantismo.

Buona fortuna. Dico davvero.

Ciao.

 

*Nota per Paola Taverna: esemplificativa.

Di Roma, Olimpiadi e sindaci paraculi. Un’analisi approssimativa

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(ANSA – PIALLATRICE) Virginia Raggi alla sagra del Photoshop di Frascati

Come su molte cose, non è che ci capisca molto. Non so se le Olimpiadi di Roma sarebbero un affare e per chi. E quando vedo Malagon de’ Malagoni, con quel capello da Luca Cordero di Montemario, penso alla pattuglia acrobatica di interessi che si annidano dietro la candidatura della Città Eterna – vi piace? L’ho inventata ora – per ospitare il carrozzone di sincere passioni e abbondanti flaconi che accompagna l’appuntamento nei pressi del braciere.

Però Virgy, ascolta un cretino.

Posto che tra otto anni sarai verosimilmente impegnata in tutt’altro (un ministero/uno studio legale tutto tuo/un programma su Real Time tipo “Assessori da incubo”) non la vedi, l’opportunità? Cosa dicono di voi i soliti giornalai di regime, sempre meno ormai, visto che li intimidite/vellicate peggio che i craxiani ai bei tempi o i renziani ora? Dicono che siete inetti e incompetenti. Che non avete un progetto. Che sapete dire solo no.

Dimostrate il contrario, allora.

Assumetevi l’onere della prima kermesse “corruzione free”, ottenuta grazie alla cristallina onestà e alla luccicante passione dei vostri cittadini. Occhio, non scherzo. Al netto del forlaniano Di Maio, della nostalgica Lombardi, del ballista Di Battista, di quasi tutto il cerchio magico di yesmen formati all’insegnamento dell’algoritmo di Casaleggio e di quel teatrante senza scrupoli di Beppe Grillo… al netto di tutto questo c’è REALMENTE una base, soprattutto di giovani cui nessuno chiede più il voto, in primis il Pd, che vi vede come unica alternativa rivoluzionaria e come unico baluardo al malaffare. E anche se sappiamo che si sbagliano (nessuno è profondamente onesto se pensa che debbano essere onesti solo gli altri, i politici, specie quando è diventato un politico pure lui e prende appena due spicci in meno dei colleghi) dovreste dimostrare loro che le cose si possono fare anche senza rubare. Che non si può fermare un Paese perché esiste la corruzione. Che bisogna invece battere malaffare e mafie, anche se “la mafia non strangòla” (cit. Peppe) e “in Campania lo Stato ha fatto più danni della camorra” (cit. Di Maio).

Poi, certo, le piscine dei Mondiali non finite. Certo, le opere di Italia ’90. Certo, le piste da bob in Piemonte. Però proprio Torino è la dimostrazione che a volte fare i debiti (quelli che a livello nazionale proponete di non pagare: potremmo sempre prendere i soldi dall’Europa e restituirli col piffero) cambia la storia di una città e la eleva a modello. Altrimenti stavano ancora ad aspettare Marchionne, lungo i Murazzi.

Ma soprattutto, Virgy, dimostrate che avete un piano. Almeno uno, dico. Il Coni è talmente legato a questo progetto – peraltro approvato in Consiglio comunale: non fare che lo blocchi senza ripassare per l’aula che poi arriva il Tar e te le fa organizzare d’ufficio. Sveglia – che ti concederebbero tutto. Il Villaggio Olimpico dentro a casa di D’Alema? Consideralo fatto. Un monumento equestre contro le scie chimiche di fianco alla fontana del Bernini? Pronto. Ristrutturare i vecchi impianti senza buttare soldi nei nuovi? Questo sarebbe più difficile ma te lo passerebbero. E ti passerebbero i fondi per le periferie, quelli per il reddito di cittadinanza, il collagene per Rocco Casalino. Tutto. Perché hanno bisogno di te. E tu hai bisogno di loro.

Perché, Virgy, ti serve un cazzo di progetto per incardinare la tua azione di governo. Ti serve un disegno per zittire chi pensa che tu sia il pupazzo di qualcun altro. Ti serve un cambio di marcia per dimostrare che non sarai la Appendino (anche perché la Appendino è Fassino con la parrucca) ma almeno puoi essere la Raggi. E soprattutto puoi invertire ‘sti due mesi di cupio dissolvi in cui ne avessi azzeccata una, a cominciare dalla cancellazione delle opere coraggiose di Marino contro la cricca dei rifiuti, quella dei poteri zozzi che lo fecero fuori e ora gioiscono.

Poi non è che mi aspetti miracoli. Lo so quel che siete. Lo so che alla nomina politica (certo, cazzo: politica) del competente Vasco Errani, rispondete spargendo vaghe e tossiche accuse di connivenza con la mafia – Errani, cristo – ed evocando le questioni di opportunità che i vostri giornali non hanno minimamente sollevato quando avete riempito il Campidoglio di reduci alemanniani, di parenti di quello e quell’altro, o quando vi siete baloccati per mesi in guerre di correnti che al confronto il Pd… beh, no: il Pd è messo uguale.

Però governare significa quella roba lì. Scegliere. E avere un piano, se si dice di no. Un piano da tirare fuori ora. Se esiste. Perché tra due anni comanderete anche a livello nazionale, grazie agli assist diuturni di uno che è lo specchio riflesso del vostro caro leader. Ma da cittadino sarei contento se prima aveste fatto un po’ di scuola guida.

Ah, poi, in tutta sincerità, non è che a me delle Olimpiadi a Roma freghi moltissimo. Anche perché sarebbe una candidatura. Magari vince qualcun altro. Io lo dico soprattutto per te e un pochino anche per noi. Poi vedi tu. In alto i cuori. Buon tutto. Ciao.

Una storia non vera sull’evasione fiscale

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Questa non è una storia vera.

Non può essere vera.

Non è vero che ieri ho scritto sui social un’ovvietà sull’evasione fiscale (260 miliardi l’anno: ci si mette in sicurezza tutto il Paese, e ne avanzano) scatenando alcuni consensi e alcune critiche furibonde.

Non è vero che a un certo punto tra i contestatori è apparsa una giovane donna che si è rammaricata di poter fare poco nero, visto che non riceve alcun servizio. Ma che appena può le tasse non le paga.

Non è vero che la ragazza in questione vive in Veneto, dove ci sono tre rotonde pro capite.

Non è vero che a un certo punto un mio amico di Facebook le ha risposto qualcosa del tipo “Parli tu che lavori con lo Stato”.

Non è vero che, nonostante lo pseudonimo, il mio amico era risalito alla vera identità della giovane signora attraverso Google image.

Non è vero che la ragazza in questione mi ha subito bloccato.

Non è vero che ho verificato e la ragazza, un giovane avvocato, ha fatto la consulente legale per un’importantissima azienda di Stato e adesso è nel Cda di una società-parcheggio sempre legata all’azienda di cui sopra.

Non è vero che l’avvocato in questione era stata anche consulente di un sottosegretario nel governo Berlusconi IV.

Non è vero che questa tizia ha la faccia tosta di rivendicare l’evasione fiscale e campa coi miei soldi.

Non può essere vero.

Quindi mi scuso per avervi fatto perdere tempo.

Pagate ‘ste cazzo di tasse.

Perché a Roma il problema non è “il milioncino” della Muraro

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(ANSA – DESIGN) Un cestino Ama vuoto. L’opera è esposta al MoMa di New York

Rispetto alla questione dei rifiuti, a Roma, il Pd dovrebbe scavare una buca molto profonda, facciamo una cinquantina di metri, lasciare lo spazio necessario per Alemanno e gli altri stupratori neri della città, ritirarvisi in blocco, chiedere cortesemente, magari all’Ama, di ricoprirla, e uscirne diciamo tra una ventina d’anni, anche venticinque. Solo allora dovrebbe riprendere la parola. Per chiedere scusa.

Altro che lanciare hashtag. Altro che mutuare tristemente linguaggio e temi altrui (i soldi, cristo, sempre l’ossessione per i soldi) chiedendo di spiegare “il milioncino” della Muraro.

Premesso questo.

Non essendo romano, so di Ignazio Marino solo quel che ho letto e ciò che mi hanno raccontato gli amici che colà risiedono. Il giudizio è abbastanza unanime e non brilla per positività. Non capendone niente, da lontano, mi sembrava davvero il marziano che diceva di essere, spesso incompetente, certamente alieno a determinate tradizioni. Prima tra le quali, proprio quella sui rifiuti. Per la gestione dei quali (ripeto: posso sbagliare) aveva operato importanti soluzioni di discontinuità, respinto al mittente vecchi caporioni privati, scelto persone nuove.

Si era fatto, Marino, parecchi nemici: il suo partito, che l’ha fatto cadere dandogli dello psicopatico. E i suoi successori in Campidoglio, che gli davano del disonesto.

La nuova gestione dei rifiuti è affidata a una persona che da oltre un decennio faceva parte del sistema, con l’onere di controllarlo. Le prime mail in cui muove rilievi risalgono all’inizio di quest’anno, e sono con ogni evidenza le mail di una persona sull’orlo di una nomina in Campidoglio. La stessa persona era consulente di aziende, cui prestava il proprio ingegno perché potessero vincere gli appalti presso il Comune di Roma per il quale lavorava. Ha guadagnato cifre molto importanti dal pubblico e dal privato, nello stesso periodo, nello stesso ambito. La persona che ne ha fatto esplodere gli emolumenti era Gianni Alemanno. Il suo sponsor in Ama era Franco Panzironi, coinvolto in mafia capitale, che aveva intestato una società alla segretaria la cui presidente era Virginia Raggi. Cerroni, il ras novantenne dell’immondizia, finito in galera per la discarica di Malagrotta, la adora, la elogia pubblicamente, e ne sostiene la decisione di riaprire il tritovagliatore di Rocca Cencia perché probabilmente con tre tovaglie si magna-magna-magna.

Ribadito che una buona alternativa alla inumazione del Pd romano sarebbe la sua spedizione su Giove, evitando di lasciare il carburante per il ritorno, la domanda è: se questo popò di intreccio riguardasse una qualsiasi sponda opposta, avremmo la gente in Campidoglio a gridare Onestà come stesse in curva sud?

La risposta è: certo che sì.

L’altra domanda è: perché non succede?

Le risposte sono due:
1) Il beneficio del dubbio che si concede a chi è in carica da un mese (ma per nominare assessore una che cerca vendette in Ama, perdippiù in diretta streaming, bastano pochi secondi).
2) Il M5S è pulito per definizione.

Ergo: i comportamenti che si rinfacciano giustamente agli altri diventano normali se a compierli è qualcuno dei tuoi.

È il punto d’arrivo del lavacro di coscienza che ha portato i romani (e gli italiani) a scegliere quasi sempre i ladri e i corrotti girando la testa dall’altra per quieto vivere o sperando di ottenerne l’indulgenza. Salvo poi lamentarsene, abbattendoli in cabina elettorale, sempre fuori tempo massimo.

Inflessibili. Diversi. Alieni a ogni compromesso. Finché non c’è qualche contratto da firmare. E permalosissimi quando il fango tocca la squadra di cui hai appena indossato la casacca. Uguali all’Italia di sempre. Quella del “Non sono Stato io”.

Che si specchia, purtroppo, in quelli che chiedono conto del “milioncino”. Comparse bercianti in questa curiosa tragicommedia di popolo.