Del perché i cattivisti sull’Isis ci porteranno a sicura sconfitta

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In una breve riflessione dal titolo “Buonisti un cazzo” avevo già trattato il curioso destino che tocca a chi tenta una qualche analisi sulla questione migranti senza paventare l’uso dei campi di sterminio.
L’occasione mi è grata, dopo la strage di Nizza, per aggiungere qualche considerazione sui leoni da tastiera, o da parlamento, che vorrebbero tra le altre cose…
A) Chiedere all’Islam moderato di dissociarsi
Tecnicamente legittimo. A patto di poter mostrare una recente e personale discesa in piazza ad esempio contro la mafia. Se, da cittadini italiani, avete sentito l’insopprimibile moto di separare la vostra immagine e il vostro destino da chi sparge in giro per il mondo morte, oscurantismo, disordine, diseguaglianza sociale, e ha lo stesso vostro passaporto in tasca, allora ok. Altrimenti sappiate che potrebbero chiedervi, e farebbero bene, di dissociarvi da Matteo Messina Denaro ogni qualvolta pronunciaste il vostro nome senza un perfetto accento cockney.
B) Imporre ai musulmani la nostra cultura e le nostre leggi
Il primo obiettivo è senz’altro meritevole. Il Corano è un libro tecnicamente violentissimo (consiglio la lettura di “Violenza e Islam“, del poeta siriano Adonis, per averne la conferma, e se vi avanza tempo anche della Bibbia, per verificare che anche lì si viaggia sul truculento andante) la cui interpretazione letterale è causa precipua di questa deriva oscurantista. Contaminarlo con il nostro ben noto relativismo – suggerirei di spedire a Raqqa il senatore Razzi – comporterebbe il duplice vantaggio di minare alle fondamenta Daesh e di toglierci un cretino dai coglioni. Il rispetto delle leggi, però, è cosa più complessa. Esso, il migrante, è il nostro alibi quotidiano per fare il cazzo che vogliamo, nonché la chiave di volta del groviglio di malumore ignorante che esonda principalmente dai social. Senza potersi lamentare delle ville, del cibo, delle piscine regalate agli extracomunitari, il Paese dovrebbe fatalmente riversare la propria ostilità ad esempio contro chi non paga le tasse. E questo rischierebbe di provocare:
1) La guerra civile
2) Numerosi atti di autolesionismo.
C) Espellere chi non si conforma ai punti A e B
Fuor di cazzata, questo è il dato che mi sta più a cuore, rispetto al quale mi appresto a dimostrare che i “cattivisti” sono velleitari del male privi di una qualunque possibilità di vittoria. Ammesso e concesso che siamo in guerra, infatti, trattasi di un conflitto asimmetrico, liquido, che ammazza musulmani a nastro quasi ogni giorno lontano dai nostri lungomare, e che in nessun caso può essere vinto né con la (sola) forza né con le espulsioni. Il dato ovvio è che gli attentati continueranno per un bel po’, specie se a compierli saranno coglioni subornati da lontano che invece di trollare qualcuno su Facebook cercano la bella morte noleggiando autoarticolati. Ai profeti del repulisti, chiedo: ma davvero pensate di poter rastrellare le periferie europee? Davvero credete di poter militarizzare un continente senza rinunciare alla chiave di volta della nostra cosiddetta superiorità, cioè le libertà personali? Davvero credete che il conflitto non si vinca senza una cazzo di analisi, se non delle cause, di ciò che innesca e fa detonare lo scontro?
Giorni fa, appunto su Facebook, un tizio mi diceva che i magrebini hanno invaso la Francia. Non ho avuto cuore di spiegargli come tecnicamente, e non da oggi, fosse avvenuto il contrario. Né come la real politik occidentale per esempio in Medio Oriente (la stessa che ha tenuto in sella Erdogan, l’altra notte) abbia costituito negli anni e nei secoli non già la giustificazione ma l’humus – una “m”, Gasparri, non siamo al ristorante – nel quale l’Is trova il suo collante più importante: il consenso.
Questo va loro tolto, il consenso. L’arma che può prolungare all’infinito la stagione delle carneficine a noi inspiegabili.
Per questo consiglio, in ultimo, due letture:
la prima è il documento citato dal Corriere due giorni orsono da cui si evince che la Francia sta monitorando i gruppi di estrema Destra per evitare una recrudescenza di giustizia sommaria che farebbe il gioco di chi arma i kamikaze e affascina le teste di cazzo reduci da delusioni amorose e munite di patente C.
La seconda, mi scuso per la provocazione, è addirittura un libro: “Il fondamentalista riluttante”. Laddove si narra la leggenda di un broker che dopo l’11 settembre fu trattato come un jihadista e finì, spoiler, più o meno per diventarlo. C’è anche il film (lo dico perché spesso i cattivisti non sanno leggere) da cui si desume che il “buonismo”, come lo chiamate voi, o la prospettiva, come la chiamo io, sono l’unica parcellare chance di veder scemare questo turbine di sangue che sembra travolgerci senza un vero perché.
Il migliore amico di mio figlio è musulmano, figlio di un ristoratore pakistano e di una cuoca cinese. Ha 14 anni. Studia i testi tutti i giorni. Ed è un ragazzo normale, integrato. Se tra qualche anno diventerà un italiano perbene o un fondamentalista riluttante dipende da noi, e da quanto ci sforzeremo di capire. Asciugandoci le lacrime. Anche quelle che verranno. E cominciando a studiare. Un’altra via, io, non la conosco.

 

Io, se fossi Pisapia

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Io, se fossi Pisapia, e non lo sono, sarei orgoglioso di aver migliorato Milano. Averla cambiata. Averla aperta al resto del mondo.

Se fossi Pisapia, e non lo sono, saprei di aver fatto la cazzatona di non scegliere tra Majorino e la Balzani, spianando la strada a una candidatura di discontinuità che sta per consegnare la città alla Gelmini, a La Russa, a De Corato, a Salvini.

Se fossi Pisapia, e non lo sono, avrei già fatto autocritica e mi starei chiedendo, in modo del tutto impolitico, come rimediare. Come evitare di buttare nel cesso il mio patrimonio, di gettare calce viva sul mio buongoverno.

Se fossi Pisapia, e non lo sono, comincerei a spendermi con generosità per il meno peggio. Tallonerei Sala nei mercati, in metropolitana, nei teatri, quando va al bar e mette l’auto in tripla fila, facendogliela spostare. Ci metterei il culo e la faccia. Farei capire che dopo aver vinto contro ogni pronostico, è possibile rivincere contro ogni pronostico. Contro un’inerzia evidente. Che ha bisogno di una scossa.

Se fossi Pisapia, e non lo sono, farei stampare a nastro manifesti col mio nome e quello di Sala.

Se fossi Pisapia, e non lo sono, darei credibilità a un’affermazione politica (“Votatemi per continuare”) che in bocca al city manager di Letizia Moratti suona poco credibile, addirittura respingente sia per il suo elettorato di riferimento che per quello avversario.

Se fossi Pisapia, e non lo sono, preparerei qui e ora il finale di campagna elettorale in piazza del Duomo, estrarrei dalla naftalina le bandiere arancioni, chiamerei a raccolta i milanesi che vogliono continuare la resurrezione gentile.

Fossi Pisapia, e non lo sono, lo farei per un motivo sentimentale e uno molto pragmatico: far vincere Sala con i voti decisivi di questa Giunta, di questo sindaco, di questa gente, sarebbe il modo migliore per mettere il cappello sul futuro e mantenere un ruolo preminente sulla città pur senza stare a Palazzo Marino. Quello che Pisapia ambiva a fare attraverso Maiorino, appunto. O la Balzani. Ed è in quella indecisione che è entrato Mr Expo.

Questo farei se fossi Pisapia. Steccherei la zampa dell’anatra zoppa e la porterei al traguardo. Per lui, in piccola parte. Per me. E per Milano.

Ma non sono Pisapia. Non posso farci niente. Lui però può. Si muova. Adesso.

Il caso l’Unità-Raggi: in morte del giornalismo

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(ANSA – MAD) La Virginia Raggi vera è a destra. Ovviamente

Il direttore de l’Unità, Erasmo D’Angelis, pubblica sul sito del giornale un video in cui insinua che la candidata grillina a Roma, Virginia Raggi, avrebbe fatto la corista nella celeberrima hit “Meno male che Silvio c’è”.

Non è vero.

Beccato, si giustifica parlando di “giornalismo 2.0” che – il sunto – lascia al lettore la responsabilità di capire se ciò che gira in rete è falso o no.

Poniamo che il giornalismo 2.0 funzioni davvero così (funziona davvero così: ne parlo tra poche righe) perché cazzo dovrei comprare un giornale, leggere un sito, cercare credibilità nel mediatore della fonte?

Allora hanno ragione i Cinque Stelle (ma anche Renzi: e non è un caso) che predicano la disintermediazione dell’informazione. Ognuno si arrangia da sé e i D’Angelis farebbero meglio ad aprirsi una mesticheria.

Spacciare una notizia falsa e poi, una volta beccati, rivendicarla, è roba quantomeno da esposto all’Ordine, se l’Ordine esistesse ancora. Posto che la Raggi faceva pratica nello studio Previti quando Previti si sapeva perfettamente chi era. Ma su questo che è un dato di sostanza, la battaglia l’Unità non la fa. Perché se stai al governo con Verdini, qualche problema ad accusare altri di incoerenza te lo dovresti porre.

Però.

Però per censurare D’Angelis bisogna avere i titoli. Invece Peppe, non pago di sponsorizzare ogni giorno quel pastiche di sensazionalismo e clickbaiting estremo che risponde al nome di Tze-Tze, ieri ha per l’ennesima volta ritwittato la tesi secondo cui l’Unità è così perché prende i finanziamenti pubblici.

E non è vero.

L’Unità è un giornale che, avendoci lavorato, mi fa prudere le mani ogni giorno. Ha un rapporto con la realtà discutibile e fa da manganello sulle minoranze interne.

Ma non prende soldi pubblici.

L’ho scritto, e sono arrivate alcune sentinelle del vaffanculo a contestare: chi postava i fondi ricevuti dalla vecchia e fallita Unità, chi ricordava i soldi spesi per ripagarne i debiti, chi diceva che nel 2014… Sì: ma siamo nel 2016. L’Unità ha un altro editore, un direttore che spaccia fesserie sulla Raggi, ma di quel giornale non è erede se non per la testata. Il resto, compresa la linea politica (soprattutto) non c’entra nulla.

Qualcuno ha anche ricordato che l’Unità è editata dal Pd (non è vero: il Pd ha una piccola quota) e quindi prende i fondi del Pd. Che sono pubblici. Ma giocando a questo gioco si potrebbe obiettare che (al netto dei 3500 euro su 15000 che i pentastellati versano nel fondo di Stato per le Pmi) i gruppi parlamentari a Cinque Stelle prendono tutti i denari pubblici necessari a tirare avanti la carretta. Perché le fotocopie costano, la politica gratis è una palla, specie quella sul territorio (che è campagna elettorale) e alle balle del MoVimento autosufficiente non crede manco Casaleggio junior.

Ma Peppe l’ha sparata, tanto che gli frega. Se siamo al centottomillesimo posto delle famose classifiche sulla stampa non è mica colpa di chi intimidisce i giornalisti, dei politici che vogliono trombettieri, di chi si erge a paladino della libertà e poi spara melma nel ventilatore della comunicazione come un D’Angelis qualunque.

E i suoi gli hanno creduto, generando l’ennesima ondatina di indignazione contro chi faceva notare che no, è una bugia. Perché lui e il direttore de l’Unità fanno lo stesso mestiere: propaganda. Ed è per quello che, nel mio piccinissimo, li tratto e li tratterò esattamente allo stesso modo.

Perché uno (Peppe) vale uno (Erasmo).

Gira la ruota.

L’ultima chiamata per i pentascudati: votare la legge Cirinnà

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(ANSA – EDUARDO) Di Battista e Di Maio, dopo aver cambiato idea dodici volte sulle unioni civili, si spernacchiano a vicenda

Tre giorni fa la Stampa di Torino è uscita con una notizia in esclusiva: il M5S stava per fare dietrofront sulla legge Cirinnà a seguito di ripetuti incontri con le gerarchie vaticane, tra gli altri di Di Battista e di Roberta Lombardi, quella secondo cui il primo fascismo, in fondo, ma sì, dai.

Il giorno dopo, al contrario, tutti i giornali titolavano con il diktat di Di Maio: o la legge sulle unioni civili resta così, o non la votiamo. Sembrava una smentita alla notizia della Stampa.

Alla luce del grottesco post grillesco di oggi, si trattava invece di un diversivo, nella speranza che il Pd si spaccasse per attribuire ad altri il flop della legge e continuare la politica dei due forni: fingersi libertari, nutrire il ventre molle del popolino.

Poi, appunto, la scoperta della libertà di coscienza. Roba che manco la Dc di Forlani. Fine del vincolo di mandato, fine dell’uno vale uno, fine delle consultazioni online.

Ora Beppe Grillo, tra uno spettacolo e l’altro in cui fa pagare al pubblico ciò che dovrebbe raccontare al suo analista, ha una sola possibilità di non passare per ciò che è, ossia un saltimbanco qualunquista che contende i voti a Salvini, a Berlusconi, alla parte più retriva del Pd.

Quella possibilità si chiama disciplina di partito: avevate detto che volevate le unioni civili, votatele. Sennò risulterà evidente a tutti che destra e sinistra saranno anche concetti superati, ma il M5S li ha superati a destra.

E tutti gli italiani discriminati in base ai propri affetti potranno d’ora in poi ringraziare chi nacque Emiliano Zapata e morì Remo Gaspari.

Tanti auguri a Giorgia Meloni per una gravidanza felice e una maternità ricca di soddisfazioni

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meloni okConfesso, ho fatto una battuta sulla Meloni.

“La Meloni è incinta. Il primo che aggiunge ‘sempre’ è una brutta persona”.

Tecnicamente è pure una battuta sbagliata, perché il riferimento al celebre proverbio riguarderebbe semmai la genitrice della celebre parlamentare.

Ma è piaciuta, è stata condivisa, e mi ha cagionato la nomination nella nazionale sessisti stilata da Laura Eduati sull’Huffington Post.

Sono recidivo, peraltro.

Tempo fa postai una vignetta sul ministro Boschi (la sua foto e lo slogan: Proteggi le oche, boicotta Moncler) che avevo fatto tale e quale la mattina in radio, ma sulla Minetti, senza che accadesse nulla. Con l’importante differenza che la Minetti pare giacesse con Berlusconi, mentre la Boschi ci stava riscrivendo la Costituzione. Dunque mi sembrava un filo più pericolosa.

Quella foto mi guadagnò le stesse accuse di malagrazia. Per la precisione, arrivarono da il Giornale, il Fatto Quotidiano e Libero

Un po’ come se Mario Adinolfi ti criticasse la dieta.

Ecco, ci sono ricascato.

Ho motteggiato sulla pinguedine di Adinolfi (che in parte condivido) perché mi pareva buffo. Chiedo scusa. Effettivamente è troppo facile e, se posso, cerco di evitare: il sovrappeso non è un dato politico. Adinolfi ha ragione.

La Meloni, temo, meno. E chi pensa di difenderla dal sessismo, forse, ancora meno. Una figura (uomo, donna, trans, pegaso) che vada al family day annunciando al mondo intero che è incinta, ma fuori dal matrimonio, costituisce occasione di battuta.

Di più, si scrive da sola. E usare la questione di genere per difendere il presunto bersaglio dall’ironia mi risulterebbe ottuso, improvvido, scentrato, controproducente, addirittura un filo ipocrita.

Verrebbe quasi da dire “Farsi una risata: se non ora, quando?”.

Non fosse che quando fai battute ci sta anche che non siano capite.

E che, anche se capite, a qualcuno facciano cagarissimo.

Quindi io mi tengo l’accusa di sessismo, per carità, vale tutto.

Ribadendo sommessamente che era una battuta su una che è andata al family day per dire che è rimasta incinta fuori dal matrimonio.

E che io di figli fuori dal matrimonio ne ho due, ma non è che rompo i coglioni alla gente, in piazza, per dire che quelli come me non meritano diritti.

Ecco.

Tanti auguri a Giorgia, al pargolo, e un abbraccio (foto di Anna)