La Coop, Bugani e il video cult: la sceneggiatura segreta

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bugaCuriosità e migliaia di visualizzazioni per il video comico pubblicato su Youtube dal consigliere comunale pentastellato, nonché frontman di Beppe Grillo alle Europee, Massimo Bugani. Nei 5’10” di filmato, Bugani smaschera i prodotti Coop che contengono ingredienti stranieri, ma lo fa con una nuova  app della Coop che serve proprio a quello. I commentatori sul web hanno deriso il filmato col banale pretesto che satireggiare un marchio pubblicizzandone i servizi è un clamoroso autogol. Altri hanno ironizzato dicendo che Bugani sembrava pagato per fare pubblicità. Ma è falso. Altrimenti ci sarebbe stato un copione. E in quel caso, sarebbe stato come quello che leggete qua sotto.

 

Titolo

“La Coop è lui” (plot per corto comico promozionale commissionato da Coop Italia).

Interprete

Massimo Bugani, consigliere comunale del M5S.

Location

Interno giorno, cucina ingombra di oggetti d’uso comune. La ripresa è volutamente malferma a simulare di essere stata realizzata con uno smartphone, per evidenziare l’effetto “rubato”.

Dietro a un lato del tavolo è seduto Bugani. Sul medesimo (il tavolo, non Bugani) sono disposti alcuni prodotti a marchio Coop.

Soggetto (Tra parentesi le note del cliente)

Il protagonista inizia la performance stonando platealmente il jingle della casa pubblicizzata: “La Coop sei tu, chi può darti di più”. Sull’ultima parola, la voce si fa più stridula per calcare il proprio ruolo in commedia: l’Ispettore Clouseau.

Primo tirante comico

L’attore mostra in camera uno smartphone e si vanta di aver scoperto una magagna della Coop: i prodotti che ha lì sul tavolo contengono anche materie prime estere. Come l’ha scoperto? Con un’applicazione gratuita della Coop (che chiunque può scaricare e serve proprio a verificare la provenienza delle materie prime).

Close up sullo smartphone – filone comico secondario: è prodotto in Corea – mentre lancia l’app.

Nota bene: per evitare che il proposito commerciale del filmato balzi subito all’occhio, proprio sopra il logo “Coop Origini“ appare di sfuggita un’altra app: quella di “X factor 2013”. Lo spettatore sorriderà, pensando al pentastellato duro e puro che si titilla con Morgan e Mika, e farà meno caso allo spot (attenzione: non inserire la battuta che votare per X Factor è più facile che scegliere i candidati europei a Cinque Stelle. L’autocritica renderebbe meno credibile il messaggio).

Secondo tirante comico

Con cordiale indignazione (modello di riferimento: Peppone quando prendeva cappello di fronte a Don Camillo) il protagonista inserisce nella app i codici dei prodotti che vuole sbugiardare.

Dettaglio su scatola di tisana Coop sulla quale è scritto che è prodotta in India. Dopo aver inserito il codice nello smartphone, Bugani rivela tutto contento un particolare inedito: è prodotta in India.

Terzo tirante comico e chiusura

Climax: l’attore rivela che il succo di pompelmo Coop viene da Cuba (attenzione: cancellare battuta “E da dove vuoi che venga, da Molinella?”). Solo alla fine, pronuncia una frase fintamente critica – “Forse non sapevate che la Coop è anche Messico, Stati Uniti, Egitto: ma cosa cavolo ci mangiamo…” – il cui scopo è far sentire lo spettatore più avveduto del protagonista, invitandolo in modo subliminale a scaricare l’app di cui sopra e a comprare Coop.

Istruzioni di marketing

il video andrà postato su Youtube senza avvertire che si tratta di una telepromozione. Sono stimabili quasi 100.000 contatti nei soli primi tre giorni, dei quali appena 99.500 provenienti dal computer di Bugani.

Uscito sul Corriere di Bologna

Tiromancino: smetto quando voglio

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Ho visto, finalmente, “Smetto quando voglio” il film sui bamboccioni laureati che diventano una banda di spacciatori quasi legali. M’è piaciutino. Chissenefrega, lo so. Ma aspettate. Aspettate di leggere fino in fondo, cosicché il disinteresse sia ancora più profondo e motivato.

M’è piaciutino, e speravo, dopo averne letto mirabilie, mi piacesse tantissimo.

Purtroppo c’erano alcune controindicazioni.

Intanto, appunto, l’ho visto tardi. Quando tutti avevano già scritto che sembrava “Breaking Bad” all’italiana. Ma anche un po’ “Boris”, la bella serie tv di Sky che eternò il retrobottega di una brutta fiction da prima serata di Raiuno, o Canale 5.

Avevo perciò fatto in tempo a vedermi il primo, a rivedermi il secondo.

Per rendermi ahimé conto di come gli ammericani, persino oggi che c’è Renzi, spesso abbiano una marcetta in più. E per annotarmi quella Roma scasciata e seduttiva, cinicissima e per questo quasi romantica e perduta, fosse stata raccontata con qualche bel ricamo in più davanti al pesciolino rosso (appunto Boris) e con qualche guizzo in meno dietro alla pasticca del Sacro Graal.

Che poi è un gran film, per carità. Recitato molto ma molto bene. Avercene. Amo Valeria Solarino. Però è un paradigma di come Roma, da Pasolini fino a Christian De Sica, rappresenti una materia incandescente. Sia che la si voglia raccontare attraverso un Tevere’s Eleven in cui l’Armata Brancaleone affronta Romanzo Criminale. Sia che si cerchi di intercettarne le levità. Per esempio in musica, per esempio i Tiromancino.

Io poi sono fondamentalmente un figlio ‘ndrocchia incompetente, e dunque Zampaglione lo vivo da sempre come la risposta agli 883 senza l’Harley Davidson in doppia fila. Anche qui la metrica è una licenza. Le sillabe inevitabilmente collassano per poter entrare in una partitura che sembra scritta per tutt’altro. “E’ amore impossibile quello che mi chiedi, sentire ciò che tu sola senti e vedere ciò che vedi” pronunciato in meno di due battute, resta un record di densità verbale che al Mit di Boston studiano da anni. L’ultimo mega pc che ci ha provato è esploso.

La differenza è che Zampagli-one è un po’ Max Pezzali mandato a sbattere contro Minghi. Interpreta “quella” Roma credendoci tanto. E’ chiaramente alla ricerca di una poetica propria eppure madida di citazioni: Moccia e Baudelaire nella stessa persona, con tanta buona e orecchiabile produzione.

Il risultato è intenso, gradevole.

Anche nell’ultimo album, appena uscito.

Che spinge parecchio su arrangiamenti vintage, perfetti per un eventuale musical sulla Banda della Magliana. O almeno questo che m’è saltato in mente ascoltando “Indagine su un Sentimento”, che dà il via all’album. E anche “Fuggevoli presenze”. E poi c’è il singolo, dedicato al piccolo Zampaglino, che invece vira su atmosfere dance, e ti aspetti che dal terrazzino di fronte spunti Bob Sinclar insieme alla Loren di “Una giornata particolare”. O i Daft Punk con Mastro Titta. E c’è la struggente, o quasi, Re Lear. Piano, voce, poco più, e una bella variazione sul tema dell’amore che non vede la mattina dopo.

C’è originalità. C’è rappresentatività (la canzone d’amore alla romana, contemporanea). C’è talento. C’è storia. C’è voglia di ascoltarlo.

Peccato solo che, mentre lo senti, fa un po’ l’effetto di quel film. Quello di prima. Bello è bello, dici tra te e te. Ma poi ti viene da pensare: smetto quando voglio.

 

 

Renzi: “Devo parlarvi, giratevi”

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Oggi Repubblica ospita due pezzi satirici clamorosi.

Il primo è di Stefano Benni e racconta con l’arma scintillante del paradosso i tagli di Renzi: via due elefanti dall’Aida, via le catenelle dalle biro delle banche, via un paio di centimetri dalle supposte. Fa riderissimo.

L’altro è di Roberto Petrini e racconta i tagli veri: chiusa l’ambasciata di Rejkyavik, basta coi permessi sindacali dei dipendenti pubblici, ancora tagli alla sanità. Fa incazzarissimo.

Perché io non vedo per l’ennesima volta – e Renzi parla soprattutto di cose che non fa, figurarsi se avesse da raccontare qualcosa che ha in mente di attuare davvero – un accidenti di parola chiara sull’evasione fiscale.

Niente, nulla, nisba, zero scarabocchio.

E se non l’annuncia, se la evita, come ha sempre fatto, perché interromperebbe la luna di miele,  significa, cazzo, che non ha alcuna intenzione di inserirla come priorità dell’azione di governo.

E vuol dire, porca troia, che dei tagli alla sanità, alla cultura, ai servizi, come sempre soffriranno tutti. In termini chiarissimi, e crudeli. Mentre chi ruberà sulle tasse avrà in tasca l’argent de poche, e molto di più, per fottersene allegramente.

Altro che 80 euro.

Più il suo governo autoproclamato va avanti, insomma, più Renzi mi spinge alla personale rielaborazione di una poesia che fu dell’immenso Freak Antoni.

Non è “Cambia verso”.

E’: “Devo parlarti, girati”.

Grillo testimonial Woolrich. Te lo do io lo slogan!

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Va bene, Casaleggio non gli ha ancora insegnato a distinguere Youporn dai siti di escort, ma Peppe è decisamente più avanti. Pochi mesi fa visitava lo stand Woolrich di Pitti Uomo e, informano le cronache, si intratteneva a lungo coi proprietari. Da quel momento ha spesso indossato i capi di quel marchio (in bella evidenza). Delle tre l’una: o ama così tanto quei giubbotti che se li compra personalmente e fa loro pubblicità gratuita, o glieli regalano per portarli, e da genovese sarebbe un colpo perfetto, oppure la Woolrich è il primo brand dell’abbigliamento che decide di finanziare un partito usando un politico come testimonial. Certo, nel recente passato c’è pure Renzi che si fa il selfie con Dolce e Gabbana, dimentico dei loro guai col fisco. Ma ve l’immaginate Bersani sponsorizzato da una casa di mode? Chi avrebbe mai potuto sceglierlo? E con che slogan? “Il diavolo veste Standa”? Comunque, in segno di pace nei confronti del MoVimento, formato al divino insegnamento del medesimo secondo cui per la rivoluzione si lavora gratis, sono a offrirmi senza richiedere alcun compenso per fungere da copy della campagna, nel momento in cui la partnership tra Peppe e Woolrich verrà finalmente ufficializzata. Quella che a qualcuno potrebbe sembrare un’orrenda marchetta, per me è un geniale momento di comunicazione che merita uno slogan adeguato. Te lo regalo, Peppe. E come diceva Carver: se hai bisogno, chiama.

peppe woolrich