L’agenzia delle entrate di favore

Standard

(ANSA – ARNOLD’S) Matteo Renzi nella celebre esecuzione di Splish Splash alla Leopolda

In una lunga intervista al Corriere, la nuova direttrice dell’Agenzia delle Entrate spiega che gli evasori fiscali vanno fermati ma non rincorsi. Che è un po’ come se, durante una rapina in banca, la polizia dicesse: “Dovevamo fermarli prima, mo’ è inutile che gli andiamo dietro”.

Dev’essere un combinato disposto del Governo Renzi, il più retrivo. Quello più vecchio e democristiano, altro che #cambiaverso. Lo riassumerei così: “Non ti sono bastati gli 80 euro? Non li hai avuti perché non hai uno stipendio? Rubacchia come tutti, chettefrega. Arrangiati. E sta’ tranquillo: non vogliamo rincorrerti. Casomai ti fermiamo prima”.

Cosa fa il governo Renzi per fermarli prima? Come si batte contro i grandi evasori (“Il guaio saranno mica due scontrini? Il problema è ben altro”) che paiono il vero obiettivo del nuovo corso?

Al momento, ma posso sbagliarmi, nulla.

Mi pare di non aver mai sentito l’espressione “lotta all’evasione fiscale” tra le pur roboanti dichiarazioni di questo premier. E anche “lotta alla criminalità” non mi pare gettonatissima.

Obiezione: si fa ma non si dice, funziona di più.

Possibile.

Ma ‘sto 41 per cento di cui ti bulli, ‘sto consenso alla Erdogan del lampredotto potresti pure usarlo – opinione mia – per propagandare un minimo di legalità, e non solo per litigare con Draghi o tirare due calci agli stinchi sempre appetibili di grillini e dissidenti.

Sì, lo so, le tasse troppo alte, eccetera. E’ un ritornello che può permettersi chi le paga, o almeno ci prova. Ma Renzi (e mo’ pure la nuova direttora dell’Agenzia delle Entrate, che bolla i blitz tipo Cortina – due evasori su tre controllati, cazzo – come inutile protagonismo) non parla a loro. Parla agli altri, a chi arrotonda.

Per i quali inaugura una specie di condono verbale. Un po’ come le riforme della Giustizia che da noi si fanno sempre cercando il consenso degli imputati e mai di chi il reato lo subisce.

Che poi è vero: chi si ritrova il 60 per cento da pagare è un martire. E la burocrazia. E lo Statuto dei lavoratori troppo protettivo, per carità. I diritti dei lavoratori sono cose arcaiche, da abbattere, magari insieme al tizio che scrisse il Lodo Alfano per salvare il culo a Berlusconi.

Ma se nessuno investe da noi, oltre che per l’articolo 18, sarà mica perché siamo un Paese senza regole, che titilla ladri ed evasori, e ha una fetta di economia in mano alla mafia?

Mentre ci pensiamo, via con un’altra canzoncina scout.

Sigla.

 

 

Il Partito Fonzista Italiano

Standard
renzi fonzie

(ANSA – WOW) Roma, viale Cristoforo Colombo, striscione d’ingresso della Festa Democra… yawn

E’ molto possibile che il sottoscritto sia ormai un insopportabile barbogio.

Ergo, vergando queste bravi righe sullo striscione che sovrasta la Festa Democratica de l’Unità di Roma  (l’Unità l’hanno rimessa quest’anno “perché è un brand storico”, ha spiegato Renzi) è quasi certo che alberghi in me l’ottusa ostilità verso il nuovo che non solo ostacola il cambiamento, ma aveva sin qui imperdonabilmente rallentato la  sinistra italiana verso il raggiungimento di luminosi traguardi tipo a) il 40 per cento dei voti; b) infilare la parola “selfie” in un discorso d’insediamento al parlamento europeo.

Inoltre più invecchio più mi trovo d’accordo con le omelie domenicali di Scalfari, quindi c’è la concreta ipotesi che abbia perso ogni senso dell’umorismo, ogni divertita leggerezza, nonché che tra una settimana al massimo mi lanci verso un tentativo di camminata sulle acque.

Però volevo sottolineare una cosa: il tizio decapitato della foto non è Fonzie.

E’ proprio Renzi.

Il che porrebbe di primo acchito una breve riflessione sul goffo culto della personalità che attraversa l’ormai Ddr (Democratici Definitivamente Renziani)

Ma il punto è proprio un altro: quella foto, posata, storica, è tratta da Chi.

E qui i casi sono due: o l’hanno maldestramente scippata, esponendosi a una possibile denuncia per violazione del copyright (che non avverrà).

Oppure l’hanno comprata.

Cioè hanno pagato l’editore Berlusconi affinché un giornale diretto da Alfonso Signorini, l’uomo che procurò un fidanzato tarocco alla prima delle minorenni adescate per il bunga bunga, la macchina del fard che incastra i nemici di Silvio e cotona chi gli va a genio, cedesse al Pd l’immagine con cui si presenta ufficialmente ai propri sostenitori.

Vostro onore, non ho altre domande.

Un articolo umiliante sulla Rai

Standard

Il dato paradossale del dibattito sulla Rai è che quasi tutti, pro o contro la cesoia di Renzi, difendono o attaccano non già la Rai, ma la loro parte di Rai.

Giornalisti di Skytg24 che irridono quelli di Rainews perché lamentavano la carenza di mezzi (c’era, drammatica). O li perculano perché naviga(va)no nell’oro e facevano in quattro il lavoro che loro, gli unti da Murdoch, facevano da soli. Eroici.

Colleghi autori Rai eletta schiera che irridono (pure loro) i giornalisti sottolineando che il vero problema dell’azienda non sono gli stipendi importanti o gli appalti esterni – vero, in larga parte – ma i troppi assunti nelle sedi regionali, che in realtà sono cattedrali nel deserto soprattutto per colpa di chi le ha ridotte così.

Onorevoli soprattutto piddini che dopo aver piazzato tizio, caio e sempronio in tutti i ruoli, a manetta, dal Cda alla truccatrice, spiegano come i 150 milioni di taglio e la svendita di Raiway (l’argenteria di casa: dopo quella c’è la chiusura) siano un giusto freno agli sprechi e agli sperperi.

Lo dirò in francese: cazzate.

Cazzate di complemento, per la precisione.

Di sostegno a un tizio, Renzi, che di Rai non capisce un tubo. Ma sa molto di marketing. E sa che i giornalisti (anche quelli bravi: non importa, è tutto un calderone), sono ormai percepiti da una larga fetta del Paese come un impaccio verso la verità. Figurarsi poi se ricevono uno stipendio pubblico, perché ciò che è pubblico è melma. Spariamo nel mucchio, creiamo consenso. L’ha detto lui: “Avessero fatto sciopero prima del voto, avrei preso il 42 per cento”.

Quello che Renzi non sa, quel che non sanno i fieri evasori del canone, è che al di là dei millanta difetti del carrozzone Rai, dei fancazzisti che ci sono come in qualunque altra azienda anche privata (ma quanto è rassicurante pensare che il cialtrone sia sempre altro da sé, signora mia), al di là dei mille rilievi giusti che si possono fare alla Rai intesa come insieme indistinto, poi ci sono le facce.

Le facce che conosco io, da quando ho avuto l’onore di collaborare da esterno con l’azienda che era nei miei sogni di bambino, sono le produttrici esecutive da 1200 euro al mese che non dovrebbero, ma montano e staccano cartelloni per le esterne, lavorano al sabato e alla domenica senza prendere straordinari, coprono i ruoli delle figure che sono state cassate o che non sono in grado di fare il loro lavoro.

Le facce dei redattori o dei programmisti che vivono di contratti a termine. Per anni.

Il personale di studio che sopporta le mattane di autori, conduttori, registi, e fa comunque i miracoli per andare in onda.

Le mille professionalità umiliate (quelle sì) dalla politica che pospone le loro carriere a favore di qualcuno di più ligio alle logiche di questo o quel partito.

L’impegno, la passione, l’abnegazione di chi negli anni ha visto ciò che gli stava intorno depauperarsi in termini di credibilità, efficienza, qualità, proprio e soprattutto grazie a quel potere che ora chiede loro il conto.

Saranno queste figure, che hanno un volto, un nome, un conto corrente, un mutuo da pagare, a scontare il favore a Mediaset che si sta per fare, tra gli applausi di tutti, la spending review che agisce orizzontalmente e che, anche solo annunciata, ha già provocato tagli a capocchia.

La verità è che serviva una realtà impopolare cui prendere i famosi 80 euro (ora toccherà alle casse di previdenza autonome: sarà facile farle passare come privilegiate) e si è scelto di sparare al bersaglio grosso. Facile. Popolare.

Volete davvero fare un favore alla Rai?

Mettete due reti sul mercato anche internazionale, stando bene attenti mettere alcune clausole inviolabili in tema di servizio pubblico, di equilibri culturali, ma anche di condivisione degli introiti pubblicitari. Piazzate al vertice della rete superstite e delle reti digitali qualcuno di provata capacità e senza il minimo legame con la politica, che possa pronunciare con un minimo di autorevolezza le parole “meritocrazia” e “tagli”.

Dategli mandato di creare la Bbc.

Poi sparite. Manco più una telefonata. Manco più una comparsata a Porta a porta. Manco più un servizio compiacente nei tg.

Disoccupate la Rai, invece di creare disoccupati ad minchiam.

E’ il solo modo che avete, che hai, Matteo di fare un favore non solo a chi ti vota, o a chi vorresti ti votasse, ma anche a questo cazzo di Paese.

E alla sua tv di Stato.

E mi scuso per la parola Stato.

 

La legge del menga

Standard

Matteo Renzi ha più che ragione: è patetico, grottesco, ridicolo che lui non possa giocare la Partita del cuore perché la sua presenza in tv violerebbe la par condicio.

Così come è patetico, grottesco, ridicolo, che il mio amico Marescotti venga espunto da una fiction su Raiuno perché candidato con Tsipras.

E Peppe, nell’attaccare Renzi ricordando la regola, si dimostra certamente opportunista, furbastro, aggressivo come sempre.

Solo che ha ragione pure lui.

Cioè, Peppe non ha mai ragione. Ma quando dice che la legge sulla par condicio inibisce la presenza di Renzi a quella cazzo di partita ha ragione.

E lo sappiamo noi che, lavorando periodicamente in Rai, a ogni elezione – cioè circa ogni 20’ – ci troviamo a dribblare il codicillo, estenuare la regola, ballare sulla lama, per tentare di aggredire l’attualità senza sembrare in diretta dal pianeta papalla.

Il problema è Berlusconi.

La legge sulla par condicio nasce per evitare a Berlusconi di apparire anche nelle colonnine Viacard.

Siccome però la Rai è in gran parte sua, come Mediaset, e in passato pure l’Agcom, ecco che la si estremizza in modo da estenderne i margini come una specie di blob paralizzante. Essa, la par condicio, discende su tutti: sui programmi di satira, su quelli di intrattenimento, naturalmente su quelli di informazione.

E tra i più strenui ed estremi difensori del provvedimento s’è sempre distinto il Pd, cui non pareva vero di limitare in qualche modo lo strapotere berlusconiano (il quale, intanto, faceva il cazzo che voleva sulle sue reti e in parte anche su quelle Rai) ma anche e soprattutto di mettere la mordacchia a ogni critica, distinzione, battuta, anche sulle reti pubbliche.

Poiché la par condicio piace ai politici, tutti. Perché azzera lo spirito critico.

Quindi, sostanzialmente, Renzi ha più che ragione. Ma deve incazzarsi anche e soprattutto col suo partito, che non ha saputo combattere Berlusconi politicamente ma, quando poteva, ne ha mutuato usi e costumi in termini di censura.

Proprio come ora vuol fare Grillo. Che, come tutti gli altri, vuole ridurre i giornalisti a prono-star.

Un caro saluto, e #cambiaverso a tutti.

Renzi: “Devo parlarvi, giratevi”

Standard

Oggi Repubblica ospita due pezzi satirici clamorosi.

Il primo è di Stefano Benni e racconta con l’arma scintillante del paradosso i tagli di Renzi: via due elefanti dall’Aida, via le catenelle dalle biro delle banche, via un paio di centimetri dalle supposte. Fa riderissimo.

L’altro è di Roberto Petrini e racconta i tagli veri: chiusa l’ambasciata di Rejkyavik, basta coi permessi sindacali dei dipendenti pubblici, ancora tagli alla sanità. Fa incazzarissimo.

Perché io non vedo per l’ennesima volta – e Renzi parla soprattutto di cose che non fa, figurarsi se avesse da raccontare qualcosa che ha in mente di attuare davvero – un accidenti di parola chiara sull’evasione fiscale.

Niente, nulla, nisba, zero scarabocchio.

E se non l’annuncia, se la evita, come ha sempre fatto, perché interromperebbe la luna di miele,  significa, cazzo, che non ha alcuna intenzione di inserirla come priorità dell’azione di governo.

E vuol dire, porca troia, che dei tagli alla sanità, alla cultura, ai servizi, come sempre soffriranno tutti. In termini chiarissimi, e crudeli. Mentre chi ruberà sulle tasse avrà in tasca l’argent de poche, e molto di più, per fottersene allegramente.

Altro che 80 euro.

Più il suo governo autoproclamato va avanti, insomma, più Renzi mi spinge alla personale rielaborazione di una poesia che fu dell’immenso Freak Antoni.

Non è “Cambia verso”.

E’: “Devo parlarti, girati”.